Posts by: Alvise Miozzo
Solidarietà europea: insieme per la Giornata delle fasce bianche
Si è tenuta ieri in molte città europee la Giornata delle fasce bianche, per mantenere viva la memoria delle vittime della pulizia etnica a Prijedor. Ne parla Edvard Cucek in un articolo già apparso nel sito dell’Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa
Anche quest’anno alcune città della Regione Trentino-Alto Adige assieme ad altre città italiane prenderanno il loro posto in fila del lungo elenco delle città mondiali che ogni 31 maggio solidarizzano con la città bosniaca di Prijedor, solidarizzano con i suoi cittadini – purtroppo non tutti – nella loro battaglia contro la discriminazione, contro il negazionismo e per il diritto alla memoria.
Per il diritto di ricordare le vittime civili e innocenti
Tutto è partito il 31 maggio 2012 con la “ribellione pacifica” di un giovane cittadino di Prijedor di nome Emir Hodžić che si mise a “protestare” in silenzio nella piazza principale di questa città bosniaca conosciuta per la terribile pulizia etnica che vi è avvenuta.
Quel giorno di maggio Emir che se ne stava immobile con una fascia bianca al braccio e davanti ad un sacco semivuoto con sopra una rosa, ha manifestato contro il silenzio di omertà e il silenzioso negazionismo.
Venti anni prima una giunta guidata dai serbo-bosniaci aveva preso il potere in città dopo aver rovesciato il governo legalmente eletto alle prime elezioni democratiche nella Bosnia Erzegovina indipendente: ai cittadini non serbi della municipalità di Prijedor venne imposto di segnare le proprie case con un lenzuolo bianco e quando uscivano di casa di indossare una fascia bianca. Fu il primo passo verso la pulizia etnica che si scatenò di lì a poco.
Una fascia bianca sul braccio con davanti un sacco bianco semi vuoto e sopra appoggiata una rosa: Emir restò così nemmeno un’ora, in silenzio assoluto. Silenzio che tuonava sopra le vie del centro storico. Nessuno gli chiese né perché né che cosa facesse. Fu chiaro a tutti che cosa invocava questo ragazzo muto e immobile. Nemmeno le forze dell’ordine, poco dopo inviate in piazza, gli contestarono niente e non gli imposero di interrompere questa insolita “performance”, come i giornali locali la chiamarono successivamente.
Il suo fu un gesto per ricordare le 256 donne innocenti uccise a Prijedor dal 1992 al 1995, i 102 bambini uccisi, tutte le vittime civili dei tre campi di concentramento, 31.000 persone vi vennero internate, 3000 di queste vennero uccise. Per non perdere la memoria di quella vergognosa ordinanza che ricorda molto la Germania nazista degli anni Trenta.
Le reazioni
La storia delle fasce bianche fu così risvegliata, a dieci anni di distanza. Già dall’anno successivo vi fu una risposta massiccia anche nelle altre città bosniaco erzegovesi. Il sindaco di Prijedor di allora e tutta la sua giunta comunale iniziarono a comprendere che i tempi per fare i conti con il passato erano arrivati.
Ma la loro risposta non fu minimamente adeguata e per nulla solidale. Anzi, gli organizzatori, a quell’epoca semplici cittadini e una sola associazione, “Kvart” che aveva avuto il coraggio di sostenere la causa, vennero accusati di tentativi di destabilizzazione della municipalità e di false interpretazioni del doloroso passato. E ricevettero molte minacce.
La risposta della cittadinanza fu la nascita dell’iniziativa “Jer me se tiče” (Perché mi riguarda) che riuscì ad unire diverse realtà dell’associazionismo locale anche di orientamenti diversi. Tutti uniti nel desiderio di togliere questa piaga della vergogna dalla loro città e di cominciare il doloroso percorso della riconciliazione e di una almeno parziale condivisione del passato.
Già due anni dopo, esattamente il 25 novembre del 2014, uno degli organizzatori della prima silenziosa protesta del 2012, Fikret Bačić, presentò una richiesta alla municipalità di Prijedor, avanzata dai genitori delle 102 vittime minorenni e firmata da 1175 cittadini di Prijedor, sostenuti da altre 242 persone non residenti a Prijedor, per la concessione di un luogo dove poter erigere un monumento in ricordo dei loro figli.
La richiesta è stata fino ad oggi ignorata – e in certi momenti anche ostacolata – dalle autorità comunali. Questo nonostante i tentativi di mediazione da parte di diversi soggetti esteri presenti sul territorio bosniaco da tanti anni: Osce, Amnesty International e tante altre associazioni. Una lettera di richiesta d’aiuto firmata dai genitori delle vittime minorenni fu inviata negli anni scorsi addirittura al sindaco di Trento, allora Alessandro Andretta, affinché intervenisse come sindaco di una città italiana molto amica di Prijedor.
La giornata della fasce bianche oggi
La Giornata, ormai internazionale e giunta alla decima edizione, oggi ha come protagoniste circa 80 città in tutto il mondo che in vari modi ricordano i drammatici fatti di quel 31 maggio 1992 richiamando l’attenzione su quelle ingiustizie e discriminazioni che tanti esseri umani su questo nostro pianeta vivono quotidianamente.
Trento, città dove io abito, ha promosso quest’iniziativa per la prima volta nel 2108. Fu voluta dalle associazioni “46° Parallelo” e “Trentino con Balcani” in collaborazione con il “Forum Trentino per la Pace e Diritti Umani e l’associazione “Progetto Prijedor” e fu un’iniziativa subito sostenuta anche da OBCT, dagli Scout trentini e da tanti altri.
È una della poche città che partecipano che non ha tra gli organizzatori alcuna associazione di profughi/cittadini bosniaci. Nella maggioranza dei casi infatti l’impulso iniziale è partito proprio da loro. E questo fa onore al senso di solidarietà della mia città alpina.
Intanto a Prijedor, proprio quest’anno, Fikret Bačić potrebbe finalmente indicare ai presenti il posto dove, ancora non ufficialmente, potrebbe sorgere un piccolo monumento ai nostri piccoli che non abbiamo saputo proteggere. E io mi auguro che molte altre città italiane scenderanno presto tra le fila di coloro che non vogliono essere indifferenti. Insieme come italiani, come europei e come esseri umani.
ADDIO A ZIO JOVO, EROE DI UNA “GUERRA PERSA”
L’8 aprile è morto a 84 anni Jovan Divjak, il generale serbo-bosniaco che aveva difeso Sarajevo durante l’assedio della città durante la guerra in Bosnia negli anni Novanta. Lo ricorda Edvard Cucek (con lui nella prima foto del testo) e due immagini di Zio Jovo, com’era colloquialmente chiamato, di Mario Boccia. E’accanto a allo scrittore Predrag Matvejević e al giornalista Zlatko Dizdarević.
di Edvard Cucek
Mi coglie naturalmente incredulo questa triste notizia. Zio Jovo, Generale difensore della Sarajevo assediata,fondatore della Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina”, uomo tutta la vita rimasto sulla stessa sponda, quella della verità, Jovan Divjak se ne è andato per sempre. Anche se all’età di 84 anni – con un percorso della vita straricco e pieno di obbiettivi raggiunti molto importanti – perderlo, ne sono consapevole adesso, sarebbe stato ed è comunque e sempre troppo presto. Lascia infatti un vuoto incolmabile. A noi bosniaci, agli europei, al genere umano.
Sarebbe un’occasione sprecata scrivere adesso qualcosa di essenziale e che riguarda una conoscenza quasi casuale e un’amicizia andata avanti per diversi anni, scrivendo dei dati anagrafici di Zio Jovo (così gli piaceva essere chiamato), oppure del suo percorso da soldato e da eroe della difesa di una delle città più multietniche di tutta la vecchia signora Europa. Alcune cose devo dirle però. Raccontate proprio da lui.
Anche se belgradese di nascita, aveva capito, ancora anni prima della guerra bosniaca, che quello di Sarajevo sarebbe stato per sempre il suo destino. Non ha tradito mai le proprie convinzioni. Nemmeno in quei primi giorni della sanguinosa primavera del 1992 che vedrà la sua Sarajevo incatenata dai criminali dell’esercito di Radovan Karadzić e Ratko Mladić, quando bloccò tutti gli armamenti leggeri della “Difesa Territoriale” (una specie di esercito regionale) e invece di consegnarli al quartier generale di allora – Armata Popolare Jugoslava – le consegnò ai cittadini di Sarajevo creando così le prime formazioni militari che per 4 lunghi anni difenderanno la propria città. Lui, serbo, nato a Belgrado.
Da quel giorno per tanti diventò “Il Generale serbo che difese la Sarajevo dai suoi”. Ma quanto sfortunato questo “inquadramento” di un uomo con uno spessore umano che dovremo ancora scoprire. Dal mio modesto punto di vista un uomo, soldato di professione, che ha difeso la cultura del vivere insieme, spesso sottolineata da qualche “europeista occasionale” ma anche da quelli veri, e da tutti i cittadini di Sarajevo. Tutti! E li difendeva dai criminali comandati da serbo bosniaci. Questi sono i fatti storici.
Comunque come tale non è mai stato accettato da quella parte dei “patrioti” sarajevesi o bosniaci per i quali essere un vero patriota bosniaco presumeva anche l’appartenenza all’etnia bosgnacco musulmana. Insomma parlo dei circoli vicini al “Partito del Azione Democratica” – SDA del presidente d’allora Alija Izetbegovic. Per questo motivo Zio Jovo sarà anche pensionato molto prima della fine dell’assedio. Quell’anno 1994, Zio Jovo fonderà la Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina” la quale in questi 27 anni ha dato la possibilità di avere un livello d’istruzione medio alto e alto a un intero esercito di giovani bosniaci. Un vero esercito del nostro Jovan che gli sarà fedele per sempre.
Così Zio Jovo, dopo aver difeso la cultura di vivere insieme e il multiculturalismo, camminando da solo (sempre senza guardaspalle) sulle prime linee del fronte incoraggiando i difensori e i civili, aveva deciso di difendere anche il diritto alla istruzione alle fasce più vulnerabili. Altra battaglia da vincere. Sempre tra la gente, camminando a testa alta senza paura mentre nella vicina Banja Luka o a Belgrado sulla sua testa si scrivevano le taglie per presunti crimini di guerra. Arrivate persino a Vienna dove sarà per diversi mesi chiuso in un albergo in attesa di chiarimenti diplomatici e giudiziari. Tornerà alla sua Sarajevo vincendo anche questa ingiustizia. Abbracciandola e per essere abbracciato.
Per finire un fatto di cui la vecchia signora Europa sa poco, anche perché spesso Zio Jovo deve essere dipinto seguendo uno schema preciso. Come già detto, Zio Jovo dovrebbe restare “il Serbo che difese i patrioti sarajevesi, spesso soltanto di etnia bosgnacco musulmana, dai suoi”. Ossia uno che si era “venduto” alla politica che sosteneva la Bosnia, innanzi tutto i bosgnacchi musulmani e di conseguenza traditore dei suoi, dei serbi. Traditore di tutti serbi. Anche quelli, diverse migliaia, che a Sarajevo sopravvissero proprio grazie a lui.
In mezzo si infila, quasi timidamente, tutta la storia di un uomo coraggioso e onesto che rischiò tutto per difendere i valori in cui credeva racchiusi in una città martoriata pur sapendo che dalle colline circostanti circondate dai “suoi” per lui era riservata una morte sicura. Un uomo che alle spalle non aveva mai il vero sostegno di un establishment politico anche se voleva presentarsi al mondo intero come un patriota e alla guida di un Paese che subiva un’aggressione militare.
Lo ribadì Zio Jovo a dicembre del 1997 quando con una lettera decise di restituire al Presidente della Bosnia ed Erzegovina d’allora Alija Izetbegovic i riconoscimenti, le onorificenze e le insigne del Generale brigadiere dell’Armata delle Bosnia ed Erzegovina (AR BiH) in seguito alle indagini che testimoniavano diversi casi di uccisioni di civili nella Sarajevo assediata non di etnia bosgnacco musulmana, compiuti o ordinati dai militari della stessa AR BiH tra i quali alcuni ancora dopo la guerra ricoprivano cariche importanti nello Stato e nella gerarchia militare e i quali il Presidente Izetbegovic non volle mai processare e tantomeno privarli dalle onorificenze militari. Anzi, ci furono dei casi in cui per alcuni criminali di guerra furono organizzati funerali solenni statali.
Per me era molto doloroso quello che mi disse Zio Jovo quando ci siamo visti ultima volta. “Non pensavo in quegli anni di difendere la Sarajevo di oggi, ma non rimpiango, ho sempre difeso le persone deboli e mi è capitato di farlo proprio qui”. Il Mondo è Sarajevo e io auspico che Sarajevo, almeno per quegli eroi come Zio Jovo, resti sempre il Mondo. Piccolo ma aperto a tutti.
IN RICORDO DI ĐORĐE BALAŠEVIĆ
Il 19 febbraio è morto a Novi Sad il famoso cantautore jugoslavo Đorđe Balašević (1953 – 2021). Lo ricorda Edvard Cucek in un articolo, già apparso sull’Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa il 24 febbraio.
Buon vento, mio caro Balaš
Caro mio,
tra le tante cose che vorrei dirti penso comunque a quelle che sei riuscito a dire a noi. Ad una in particolare. Che hai scritto tempo fa: “La vita? Sai quando sulla tomba c’è la data della nascita e la data della morte? Ecco, quel trattino in mezzo… quella è la vita”. Il trattino tra le tue due date, rimasto troppo corto, appartiene anche a noi. Noi di ogni età. Credo di poterlo dire a nome della tua di generazione, quella degli anni ’50, ma anche della mia, degli anni ’70… ed a nome di quelli che devono ancora nascere. Ti ameranno anche loro.
Ci lasci caro Balaš. Mi è sempre piaciuto chiamarti semplicemente Balaš. Ormai da decenni sei il nostro Đole Balaš. Ci lasci proprio adesso. Anche se sono sicuro che non sarebbe mai arrivato “il momento giusto” per perderti. E che sarebbe stato prematuro anche se te ne fossi andato fra 20 anni.
Mi auguravo che questo momento accadesse quando anch’io fossi stato anziano. Ma non è avvenuto così. E ora cerco di ricordarmi quando per la prima volta ho sentito una delle tue intramontabili canzoni. Una delle tue poesie accompagnate dalla musica.
E non mi ricordo.
Già alle elementari cantavamo le tue storie di vita. Quelle inserite nel programma scolastico come “Računajte na nas” (Contate su di noi) e quelle che ci piacevano da morire, quando volevamo divertirci. Come “Mirka” o l’altrettanto leggendaria “Za sve je kriv Toma Sojer” (Tutta colpa di Tom Sawyer). Ma non mancavano le canzoni d’amore come “Lepa protina kći” (La bella figlia dell’arciprete) oppure “Život je more” (La vita è il mare) che cantavamo durante le scolaresche lanciando gli sguardi alle nostre giovanissime “Olivere”.
Non è mia intenzione elencare in questa occasione tutto quello che hai scritto e che ci hai regalato, ma potrei orgogliosamente dire che conosco quasi tutto il tuo operato. Da poeta, scrittore, musicista, attore, ambasciatore di pace… Da uomo! Scritto con i caratteri cubitali.
Non mi ricordo però quando ti sei presentato per la prima volta alla mia generazione. Non mi ricordo da quando ci consociamo noi due, mio caro Balaš. Pare da quando ho cominciato a coltivare sentimenti e custodire ricordi.
Tutta la mia vita, dunque.
Sono in molti che come me potrebbero esprimere sentimenti simili: senza di te saremmo sicuramente cresciuti in modo diverso. Più poveri. Meno felici, anche quando soffrivamo per i nostri primi amori (e anche per quelli successivi a dire il vero) immersi nelle tue canzoni.
Come riuscivi a farlo? Eri tremendamente sincero raccontandoci la tua vita. Ecco perché ci ritrovavamo sempre in uno dei protagonisti dei tuoi racconti musicali. Nei tuoi poemi che non lasciavano spazio per le interpretazioni. Ecco perché davanti ai primi accordi delle tue canzoni si abbracciavano quelli che amavano la musica heavy metal con quelli che amavano la musica punk. Si faceva pace. Quella che invocavi, durante la tua lunga carriera da cantautore iniziata ancora nel 1977. Eri il solo che riusciva, con le tue magiche note, a fare in modo che uno che non ascoltava altro che i Sex Pistols piangesse insieme ad un feroce fan degli Stray Cats. Facevi i miracoli caro mio. Almeno uno dei nostri brani composti da adolescenti doveva assomigliare sia nel testo che nella musica alle tue canzoni. Altrimenti si era “scarsi”.
Sono stato fortunato a vederti ed a poterti ascoltare in concerto. Che a quell’epoca sfociavano in crisi tra le giovani repubbliche ex jugoslave. Ti ho visto per la prima e l’ultima volta nel lontano 1997. Vent’anni della tua carriera celebrati con un concerto organizzato in primis per il pubblico croato e bosniaco a Lubiana. Mi ricordo le due ragazze di Mostar sedute di fronte a me e il mio amico d’infanzia che canticchiavano tutto il tempo. Mi ricordo di una signora, all’epoca 40 enne, che sul pullman per Lubiana viaggiava da sola. Pensierosa ma dall’aria incredibilmente romantica. Mi domandavo cosa la spingesse a venirti ad ascoltare.
In Croazia ancora non potevi cantare. Davi fastidio un po’ a tutti degli establishment statali in quegli anni. Eri scarso come serbo, in quanto di madre slovena e di presunte origini paterne ungheresi. Troppo legato a quella Vojvodina autonomista. Sostenevi il premier assassinato Zoran Đinđić e criticavi apertamente il regime di Slobodan Milošević. Un vero croato non sei mai stato, nonostante fosse impossibile separare te, Arsen Dedić e Oliver Dragojević le leggende della scena musicale croata, da qualche anno scomparsi anche loro. Amavi e difendevi troppo la Bosnia di tutti i suoi cittadini. Sei andato a cantare a Sarajevo troppo presto dopo l’assedio e questa mossa in tanti non te l’hanno mai perdonata. In primo luogo i “miei” e i “tuoi” di Banja Luka.
Non eri di nessuno di loro. Ma eri nostro fino in fondo.
E così quell’anniversario dei vent’anni di carriera, da Zagabria, dove era cancellato, fu spostato a Lubiana, facendo infuriare chi spingeva per l’isolamento della Croazia dal resto della regione balcanica sino ad arrivare ad un vero e proprio incidente diplomatico con la Slovenia: ero in uno di quei 22 pullman, partiti da Zagabria, fermati dalla polizia croata al confine croato-sloveno di Bregana. Ci hanno schedati uno ad uno. Il rischio di non arrivare a Lubiana quel primo dicembre del 1997 in tempo per l’inizio del concerto fu altissimo. La tensione era alta. Non ci permisero per diverse ore di scendere dai pullman mentre da fuori sentivamo quelli che dovevano essere degli insulti. Ci chiamavano jugonostalgici.
La stessa cosa sarebbe poi accaduta alle due di notte, nel rientro a Zagabria. Ma fu meno drammatico. Eravamo ormai purificati dal tuo concerto, disarmati dalla potenza della tua esibizione di 4 ore e mezza senza che nemmeno bevessi un bicchiere d’acqua. Quella notte sei diventato definitivamente il mio re. Il re del piccolo mondo di un profugo bosniaco di 22 anni con “l’indirizzo forzato” in una delle città della pianura croata. Ti ho visto da vicino. Tanto vicino che sono riuscito a lanciare una letterina, come da tradizione, sul palco. L’avrai mai letta? Non importa. Lì non c’era scritto niente altro di quello che tu non ci avessi già insegnato. Amore e pace prima di tutto.
Eri una specie di guardiano durante i miei anni di guerra, durante quelli da profugo scombussolato, durante i travagliati periodi della vita nella mia nuova patria italiana. Tutti i tuoi album hanno viaggiato con me ovunque.
C’eri sempre. Io ci sono soltanto adesso. Sarebbe stato più onesto se avessi scritto queste righe mentre cantavi ancora. L’indirizzo lo sapevo. Da sempre. Eri sempre tu a ricordarcelo nella tua famosissima “Neki novi klinci” (Alcuni fanciulli nuovi).
Ho tentato di avvicinarmi anche un’altra volta. Era l’agosto del 2019. Insieme alla famiglia feci una sorta di jugo-tour. Per la prima volta nella vita abbiamo visitato la tua magnifica città, Novi Sad. La regina della tua Vojvodina. A tutt’oggi culla del multiculturalismo. Ferita ma viva.
Siamo stati tentati, ma non abbiamo osato, di suonare alla tua porta, qualche minuto prima delle 22.00 di un martedì. Lo facevano in tanti, sperando che qualcuno si sarebbe affacciato, a cui lasciare per te un messaggio. Se aveste aperto a tutti in qualsiasi ora della notte… Figuriamoci. Forse però se tu avessi saputo da dove venivamo per vederti…?!
Non importa caro mio. Non ha molto senso ricordare qui le moltissime verità da te cantate. Vorrei però riprendere un verso della tua canzone intitolata “Panonski mornar” (Marinaio pannonico);
Il mio mare non c’è e non so cosa fare
Mio padre dice che il Danubio non è male
Il mio mare non c’è ma io vivo nella speranza
Che comunque da qualche parte ci incontreremo ancora
Proprio a me che capita ‘sta cosa
Questa è storia per le lacrime e per ridere
Qualche marinaio forse rimane senza nave
Ma senza mare, questa è una sfiga particolare…
Troverai laddove sei andato il tuo mare perduto. Sono sicuro. Aspettaci. Ci saremo in tanti imbarcati sulla tua nave. Prima o poi. Buon vento mio caro Balaš.
COOPERATIVE SCOLASTICHE PRIJEDOR
COMUNICATO STAMPA PROGETTO
Dal Presidente dell’Associazione Progetto Prijedor, Dario Pedrotti, il seguente
COMUNICATO STAMPA
Nonostante le difficoltà imposte dalla pandemia in corso del Covid-19, l’Associazione Progetto Prijedor ha portato a termine in questi giorni il progetto “Supporto alle capacità dei Governi locali e contributo alla promozione economica dei settori delle energie rinnovabili, sostenibilità e gestione forestale, promozione delle piccole imprese in tre Municipi della Bosnia e Erzegovina”.
Si tratta di un progetto che fa parte integrante del “Programma di Cooperazione e Sviluppo Trentino-Balcani 2018-2020” finanziato direttamente dalla Giunta Provinciale di Trento e coordinato dall’Associazione Trentino con i Balcani che ne è capofila.
L’intervento ha voluto coinvolgere anche le Associazioni della Democrazia Locale dei Balcani, favorendo una loro collaborazione diretta anche nei termini del progetto in questione.
Obiettivo dell’intervento è stato la promozione in tre municipi della Bosnia Erzegovina dello scambio di esperienze e la diffusione di buone pratiche relativamente a: sviluppo sostenibile, sviluppo socioeconomico locale; opportunità professionali per i giovani; partecipazione e dialogo tra società civile e istituzioni locali; cittadinanza globale.
Quanto sopra è stato declinato in Obiettivi specifici quali:
– il miglioramento delle capacità delle istituzioni pubbliche locali, dei ministeri competenti e della protezione civile bosniaca nel progettare e gestire iniziative pubbliche in ambito ambientale;
– strumenti per il supporto e la promozione del modello di piccola imprenditoria;
– maggior coesione, convergenza e partecipazione tra la società civile e le amministrazioni pubbliche nel promuovere modelli di sviluppo sostenibili a livello locale.
Mentre l’obiettivo più specifico del progetto prevedeva di promuovere in tre municipi della Bosnia Erzegovina lo scambio di esperienze e la diffusione di buone pratiche relativamente a:
- lo sviluppo socio-economico locale e le opzioni professionali per i giovani
- la partecipazione ed il dialogo tra la società civile e le istituzioni locali
- la cittadinanza globale
Le attività previste sul tema “ambiente” sono state orientate a sviluppare un contributo per l’identificazione partecipativa di piani territoriali locali relativi a:
- controllo dell’ambiente, con riferimento alla gestione dei rifiuti;
- mitigazione dell’impatto del cambio climatico e prevenzione e gestione di disastri naturali, con riferimento alle esondazioni fluviali ed alla prevenzione dei rischi ad esse correlati;
- gestione forestale ed uso di energia solare, con riferimento specifico alla gestione delle risorse forestali naturali e le relazioni con l’erosione idrica ed il cambiamento climatico.
Altre attività inoltre hanno riguardato:
- la formazione di giovani professionisti e dipendenti di amministrazioni pubbliche dei Municipi coinvolti sull’uso di buone pratiche partecipative per la diagnosi rapida del territorio
- l’analisi delle necessità tecniche e buone pratiche per il supporto alle piccole e micro imprese e alle forme di imprese associate e cooperative, con particolare riguardo all’inclusione dei giovani;
- eventi formativi rivolti a Ministeri, Pubbliche Amministrazioni locali ed organizzazioni private in particolare di giovani, sul tema della normazione, promozione e sostegno alle PMI ed alle imprese associate o cooperative
- l’individuazione di strumenti finanziari per migliorare l’organizzazione commerciale di piccole imprese di giovani o organizzazioni cooperative
- la realizzazione o ristrutturazione di piccole infrastrutture per la commercializzazione di prodotti agro-forestali o artigianali di associazioni o cooperative di primo e secondo livello
- la diffusione di buone pratiche sull’impiego dell’e-government come mezzo di interscambio di esperienze, buone pratiche, partecipazione e cittadinanza attiva
Tutte le attività riguardo alle tematiche ambientali sono state realizzate partendo dall’analisi di casi puntuali di studio, identificati secondo le priorità definite con approccio partecipativo dalle Agenzie per la Democrazia Locale e dagli altri attori territoriali dei tre municipi coinvolti. Ogni ADL ha quindi selezionato dei casi ambientali rilevanti per il proprio municipio. Sulla base di queste pre-analisi sono stati identificati più specifici casi di studio per ciascuna ADL (ADL Zavidovici: esondazioni e gestione forestale; ADL Mostar: gestione dei rifiuti; ADL Prijedor: gestione forestale e rifiuti). Anche nell’analisi e nella gestione delle problematiche ambientali gli esperti italiani (universitari e liberi professionisti), una volta considerato il contesto complessivo e il caso di studio concreto, hanno contribuito all’individuazione ed alla dimostrazione di strumenti scientifici e tecnici per migliorare la pianificazione degli enti territoriali preposti alla gestione del territorio, sempre considerando come centrica la prospettiva degli stakeholders che vivono nel territorio stesso. I risultati in alcuni casi (gestione dei rifiuti) sono stati espressi tramite l’elaborazione di progettuali esecutivi da sviluppare in un secondo momento.
Altri temi riferibili all’obiettivo specifico del progetto, come la gestione partecipativa del territorio, l’e-government e il supporto alle micro-impese, sono state evidenziate come temi di interesse trasversale per tutte le ADL. Quindi sono stati trattati con approfondimenti informativi e formativi specifici e, ove opportuno, con la costruzione di piccole opere ed infrastrutture differenziate in base alle necessità rilevate in loco.
La diagnosi e la gestione partecipativa del territorio è un argomento sul quale l’Associazione Progetto Prijedor conta con esperienze pregresse e con corsi specifici di “training of trainers” organizzati a Prijedor applicando metodologie internazionalmente riconosciute (“Green Negociated Territorial Development” – FAO; 2016). Grazie a queste esperienze è stato possibile promuovere una formazione “peer to peer” organizzata dagli stessi esperti locali, formati presso l’ADL di Prijedor, e rivolta a nuovi futuri promotori territoriali selezionati ed ora presenti rispettivamente dalle ADL di Zavidovici e Mostar.
Si è dato spazio ad un lavoro specifico di analisi, scambio di esperienze, di informazione e di formazione sulle opportunità offerte dall’ “e-government” come mezzo per l’implementazione e l’uso di strumenti partecipativi per la gestione e la pianificazione del territorio. A proposito è stato fatto un lavoro di indagine con questionari cartacei ed informatizzati, per definire lo stato dell’arte dello strumento “e-government” presso i tre municipi. Successivamente è stata fatta una specifica formazione ed organizzato un seminario finale di intercambio e costruzione di prospettive di applicazioni future, anche secondo le direttive europee.
Durante l’analisi partecipativa delle problematiche economiche locali gli esperti italiani hanno contribuito all’individuazione e dimostrazione degli strumenti tecnici e finanziari per migliorare l’organizzazione e la “performance” di gruppi, associazioni e di piccole e micro imprese soprattutto a supporto dei giovani. I consulenti italiani, una volta analizzati i colli di bottiglia locali (analisi SWOT presso i tre Municipi), hanno fornito l’esperienza formativa per migliorare tutto l’iter che va dall’identificazione del contesto del “micro-business” fino all’analisi e consolidamenti dei gruppi e dall’elaborazione dell’idea progettuale e successivamente fino alla redazione e validazione di un “business plan”. A seguito della valutazione condivisa dei migliori “bussiness plan” elaborati presso ciascuna ADL da selezionati gruppi, associazioni o cooperative con presenza di giovani e donne, sono state progettate e realizzate piccole infrastrutture per la trasformazione e/o per la commercializzazione di prodotti agro-forestali e/o artigianali, tra cui:
- Mostar (riorganizzazione della sede operativa del centro della Youth Business Hub dei giovani di Mostar ed acquisto di macchinari per la lavorazione e la confezione di prodotti artigianali)
- Prijedor (acquisto di attrezzature e ristrutturazione di locali per un centro per la trasformazione di frutta e ortaggi presso la Scuola Agraria e Alimentare, in supporto alle micro imprese di agricoltori familiari)
- Zavidovici (centro per la trasformazione e per la commercializzazione di frutta e ortaggi a favore di gruppi formali e informali di donne e giovani)
Il progetto si è sviluppato su due anni, nel primo è stato possibile svolgere le attività direttamente sul territorio di Mostar, Prijedor e Zavidovici attraverso il contributo delle tre Agenzie della Democrazia Locale che hanno lavorato e collaborato in sinergia per ottenere i risultati attesi.
Il secondo anno a causa della pandemia si è dovuto ricorrere ad attività di smart-working svolte attraverso assistenza tecnica da remoto, meeting tecnici, seminai formativi e webinars che, per certi versi hanno limitato la interrelazione diretta tra i cittadini e gli esperti sia in Trentino che in Bosnia Erzegovina, ma invece hanno permesso una maggiore partecipazione, con numeri di utenti variabili tra le 20-30 unità per ogni webinar finale organizzato tra la metà di novembre e il 4 dicembre 2020. Questo riscontro ci ha definitivamente soddisfatto circa la bontà dell’iniziativa.
Quindi il progetto si è concluso con 4 seminari online di analisi, raccordo e presentazione di esperienze in Trentino ed in Bosnia Erzegovina su:
- Esperienze e pratiche ambientali per la gestione forestale, la gestione delle esondazioni e la relativa gestione dei rischi;
- Pratiche e problemi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani;
- Lo sviluppo delle micro imprese per la crescita socio-economica locale;
- Esperienze e potenzialità dell’e-government in ambito europeo e per l’area dei Paesi Balcanici.
Particolarmente interessante è stata la potenzialità della rete che si è formata tra i relatori di questi seminari e che hanno visto tra gli altri il contributo della Provincia Autonoma di Trento, dell’Ambasciata Italiana di Sarajevo, dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, dell’Università di Trento e di Padova, dei Municipi e delle ADL di Mostar, Prijedor e Zavidovici. Inoltre sono intervenuti altri attori pubblici e privati di entrambi i territori come Dolomiti Energia, Cooperativa Gruppo 78, Open Content ed altri del territorio Bosniaco.
Dario Pedrotti
“SI IMPARA FACENDO… 2019”: RELAZIONE CONCLUSIVA
Dal Presidente APP, Dario Pedrotti, viene inviata la seguente relazione conclusiva del Progetto “Si impara facendo… 2019” (clicca QUI per l’originale)
PROGETTO “SI IMPARA FACENDO… 2019”
Il progetto realizzato dalla scrivente Associazione “Si impara facendo…anno 2019” è nato con lo scopo di aiutare la popolazione di Prijedor a raggiungere un grado di autosufficienza anche nella tutela e salvaguardia dell’ambiente attraverso il potenziamento dell’educazione ambientale e partendo dall’educazione alla raccolta differenziata dei rifiuti nelle scuole.
La maggior parte delle attività previste per raggiungere le finalità del progetto sono state realizzate: è stato formato a Prijedor un gruppo di giovani in grado di seguire il progetto nelle scuole sia con gli insegnanti che con gli studenti, è stato quindi possibile controllare il buon andamento della raccolta differenziata, e individuare la classe più attiva all’interno del progetto (Allegato n.). Per fare questo lavoro è stata indicata dalla Agenzia della Democrazia Locale la dipendente dell’Agenzia stessa, Dragana Susnica. La formazione è avvenuta sia all’incontro del Consiglio dei direttori degli Istituti della scuola dell’obbligo che individualmente con gli insegnanti coinvolti nel progetto.
I temi della formazione:
- Costituzione Associazione Cooperativa Scolastica (ACS)
- Educazione ambientale
- Natura dei materiali
- Riuso
- Riciclo
- Raccolta differenziata
Nel progetto hanno partecipato dieci scuole. Con il sostegno anche di Dolomiti energia, ogni scuola è stata dotata di bidoncini per la raccolta differenziata. E’ stato fatto un lavoro di indagine sulla situazione nei quartieri di Prijedor per quanto riguarda la raccolta differenziata. Sono stati attivati i percorsi formativi sulla gestione cooperativa delle associazioni cooperative scolastiche, sia con i docenti che con gli alunni. Le dieci scuole hanno costituito le loro cooperative scolastiche per la raccolta differenziata (conferendo i rifiuti raccolti – in particolare carta e plastica – a ditte del luogo, ricavandone anche piccoli introiti), nonché per il riciclo e il riuso dei prodotti di scarto per realizzare piccoli manufatti da porre in vendita durante le attività scolastiche.
A causa della pandemia da Covid-19, è stato impossibile realizzare alcune delle attività previste dal progetto, che quindi sono state sostituite con altre attività. Sono inoltre emersi altri problemi collegati alla pandemia Covid-19 e alla comunità scolastica di Prijedor, ovvero: dietro richiesta degli insegnanti di Prijedor e su delibera del Comune di Trento sono stati acquistati 55 termometri per le scuole di Prijedor.
L’autostrada per sotterrare gli Accordi di Dayton
Gli abitanti dei villaggi nei dintorni di Prijedor protestano contro il progetto di tratto autostradale che collegherebbe la città a Banja Luka. Secondo i protestanti, il progetto andrebbe a penalizzare solo la comunità bosgnacca. Il racconto di Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 21 settembre 2020 (clicca QUI per andare all’originale).
Immagine in homepage tratta dal sito prijedordanas.com.
Con una manifestazione tenuta lo scorso 3 settembre gli abitanti dei paesi limitrofi alla città di Prijedor, Bosnia occidentale – Kozarac, Kozaruša, Kamičani e Kevljani – hanno nuovamente inviato un pacifico e inequivocabile messaggio alle autorità locali e a quelle della Republika Srpska, una delle due Entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina: sono contrari al progetto della tratta autostradale che da Banja Luka (centro amministrativo della entità RS) dovrebbe collegare Prijedor e che dovrebbe attraversare proprio i suddetti comuni.
Le manifestazioni, come anche in passato, hanno avuto luogo a Kozarac, lungo la strada statale che attraversa il paese. Le richieste dei cittadini di questi quattro villaggi a maggioranza bosgnacca sembra non trovare però riscontro nelle autorità. In queste aree gli abitanti sono in stragrande maggioranza dei rientranti dall’esilio dopo le vicende della pulizia etnica e dei campi di concentramento nei quali la maggior parte della popolazione maschile non serba sopravvissuta alle prime azioni dell’esercito dei serbo bosniaci fu imprigionata.
Il progetto dell’autostrada andrebbe a colpire secondo i manifestanti alcune garanzie date ai ritornanti negli Annessi VI e VII degli Accordi di Dayton, che misero fine nel 1995 al conflitto in Bosnia Erzegovina.
Gli Annessi classificano i territori di questi quattro villaggi e parzialmente quello di Trnopolje come “zone di particolare interesse dello stato di Bosnia Erzegovina” in quanto la loro intera popolazione durante la guerra degli anni Novanta fu spazzata via dalla pulizia etnica e sottoposta ad uccisioni e torture nei tre vicini campi di concentramento: Keraterm, Trnopolje e Omarska.
Una volta rientrati, all’inizio degli anni 2000, i sopravvissuti di questi paesi hanno iniziato la ricostruzione dei loro paesi precedentemente rasi al suolo. Inizialmente con i propri mezzi e con quelli della comunità internazionale, senza particolari aiuti dell’entità bosniaca RS. Successivamente con qualche aiuto statale. In pratica in quella zona non esistono più case costruite prima del 1999/2000.
L’autostrada che taglia per collegare
Ora molte di quelle case ricostruite, si parla di un centinaio, e molti terreni agricoli, sono minacciati dalla tratta autostradale. Il 3 settembre i manifestanti hanno sottoscritto una nova lettera indirizzata al ministero delle Infrastrutture della Republika Srpska in cui si sottolinea l’anomalia di un progetto che crea così tanti danni a privati, agricoltori e allevatori di bestiame nonostante siano possibili molti percorsi alternativi. Non si può non notare che tutti i più colpiti appartengano alla comunità bosgnacca.
“Siamo insoddisfatti. Non abbiamo ricevuto risposte alle nostre richieste. Continueremo le nostre proteste. Questa nostra battaglia non finirà. Le famiglie non sono d’accordo che le loro proprietà vengano espropriate e le abitazioni demolite. Inoltre gli abitanti di ogni casa nella cosiddetta ‘cintura protettiva autostradale’ dovranno essere sfrattati e ce ne sono molti. Nessuno vivrà in una casa consapevole del rischio che in ogni istante qualcuno possa finire nella sua camera da letto con un camion o una macchina”, ha dichiarato al portale Prijedor24.com Sabahudin Garibović, tra gli organizzatori delle proteste.
“Nessuno qui vuole vendere la sua proprietà, nemmeno io. Lasciando da parte il numero elevato delle case da demolire, 97 addirittura, questa zona è conosciuta per la produzione del latte e anche quella sarà destinata a morire una volta che i nostri campi verranno attraversati dall’autostrada. La fauna, la flora e alcune riserve di caccia saranno distrutte e la sopravvivenza di tante famiglie verrà messa a rischio”, ha concluso Garibović.
Anche per quanto riguarda i terreni agricoli la soluzione proposta dal ministero delle Infrastrutture pare irragionevole. Molti poderi verrebbero tagliati in due impedendo l’accesso ai campi da coltivare ai proprietari stessi, costringendoli a percorrere distanze non indifferenti per accedervi.
Percorsi alternativi
Da quando il progetto della costruzione di questa tratta autostradale data in concessione alla compagnia cinese SDHS-CSI BH è stato reso pubblico non sono mancate proposte alternative. Tra queste l’ipotesi che l’intera tratta venisse spostata sul monte Kozara, con relative gallerie, oppure passasse da alcuni stagni ai suoi piedi, già di proprietà statale. Anche se all’inizio non è stata scartata, oggi sembra un’ipotesi lontana dall’essere presa in considerazione.
Oltre a queste due, vi sarebbero altre soluzioni che prevedono l’affiancamento dell’attuale strada statale, che attraversa anche villaggi serbo-bosniaci. Soluzione ritenuta equa dai bosgnacchi ma fuori discussione da parte serbo-bosniaca.
In una situazione di stallo il clima si sta riscaldando anche nei circoli della politica locale. Il segretario della sezione di Prijedor dell’SDA (Partito d’azione democratica, con a capo Bakir Izetbegović), Mesud Trnjanin, ha invitato tutti i vertici della politica nazionale e locale, non lasciando fuori nemmeno l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko, a contribuire attivamente per trovare una soluzione alternativa accettabile a tutti i cittadini.
Trnjanin sostiene che la “popolazione dei rimpatriati”, in questo caso bosgnacchi, deve godere la tutela garantita dagli Accordi di Dayton. “Eventuali espropri di terreni agricoli o di case non possono essere considerati diversamente da un attacco diretto agli accordi di pace di Dayton e al processo di restituzione delle proprietà”, ha affermato Trnjanin ribadendo la propria fiducia nelle istituzioni bosniache e nella comunità internazionale.
Inno all’insostenibilità
Il progetto di collegare Banja Luka e Prijedor attraverso una tratta autostradale è stato fortemente voluto dall’allora premier del Governo della RS e oggi membro della Presidenza tripartitica della Bosnia Erzegovina Milorad Dodik.
Nel 2019 un’indagine giornalistica effettuata da Svjetlana Šurlan, giornalista del portale Capital – e con la quale si aggiudicò il Premio “ACCOUNT” consegnato ogni anno ai giornalisti che contribuiscono, tra l’altro, anche nello smascherare la corruzione nel pubblico e nel privato – ne aveva messo in luce i costi esorbitanti ed insostenibili.
Ad avviso della giornalista il progetto di collegamento autostradale Prijedor-Banja Luka non sarebbe altro che un’utopia con un alto costo fisso annuale a carico dei contribuenti.
Šurlan ha messo in allerta l’opinione pubblica sul fatto che il governo della RS, senza un’analisi valida e seria sui flussi di traffico, ha stipulato un contratto con il partner cinese garantendo l’incasso di 60 milioni di marchi all’anno (circa 30 milioni di euro) che, nel caso dovesse essere inferiore, verrebbe ripianato dal bilancio dell’Entità.
Šurlan sottolinea che l’ultimo conteggio dei flussi di traffico su quella tratta risalgono al 2015 e che nemmeno nelle più rosee aspettative possono garantire le cifre accordate. La giornalista nella sua analisi fa riferimento anche al caso delle autostrade della vicina Croazia che, pur molto più trafficate e non paragonabili grazie alla lunga stagione turistica estiva, non sono comunque autosufficienti. Per questo Svjetlana Šurlan definisce questo progetto un progetto politico piuttosto che un’azione intrapresa per il bene comune e per migliorare le infrastrutture.
Il partner cinese dovrebbe costruire 42 chilometri di autostrada per un valore totale di 297 milioni di euro. Questi verrebbero poi rimborsati attraverso una concessione per 30 anni con un incasso annuale garantito di trenta milioni di euro, per un totale, quindi, di 900 milioni di euro: un progetto quindi con gravi conseguenze sulla convivenza tra comunità, sull’ambiente e sulle tasche dei cittadini.
Assemblea APP del 16 luglio 2020
L’Assemblea ordinaria dell’Associazione Progetto Prijedor si è tenuta il 16 luglio 2020. I lavori si sono aperti con la nomina di Annalisa Bortolotti quale Presidente dell’Assemblea.
L’assessore del Comune di Levico, Paolo Andreatta ha portato i saluti e l’augurio di buon lavoro a nome della sua amministrazione.
Il Presidente dell’Associazione Progetto Prijedor, Dario Pedrotti, ha presentato la relazione sulle attività del 2019.
Sono stati realizzati 7 progetti:
1.PROGETTO GIUNTA PROVINCIALE: Supporto delle capacità dei Governi locali e contributo alla promozione economica dei settori delle energie rinnovabili, sostenibilità e gestione forestale, promozione delle piccole imprese in tre Municipi della BiH.
Finanziatore: Giunta Provincia Autonoma di Trento – Programma di cooperazione di comunità Trentino-Balcani 2018-2019
Luogo: Bosnia Erzegovina
Tempo: Biennale
Partner: Associazione Trentino con i Balcani (CAPOFILA); Municipi ed Agenzie per la Democrazia Locale (ADL) di Prijedor, Mostar e Zavidovici; Comune di Trento; Protezione Civile Trentina; Consorzio Lavoro Ambiente; Ministero dell’Ambiente della Repubblica Serba della BiH e della Federazione della BiH; Ministero dell’Agricoltura e Foreste della Repubblica Serba di BiH e della Federazione della BiH.
- PROGETTO Promozione dei partenariati territoriali, sostegno alla imprenditoria e valorizzazione delle risorse umane per lo sviluppo economico-sociale locale – Prijedor – Bosnia e Erzegovina 2018-2021:
Finanziatore: Provincia Autonoma di Trento – Programma di cooperazione internazionale 80% e 20 % risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor
Luogo: Bosnia Erzegovina
Tempo: Triennale
Partner: Scuola Agraria di Prijedor, Istituto Agrario di San Michele, Centro di Formazione dell’Istituto Agrario, Sindaco e amministrazione locale della Città di Prijedor, Agenzia per lo sviluppo locale PREDA, Municipalità di Prijedor, Ministero dell’agricoltura Repubblica Srpska, Associazione frutticoltori Prijedor, ADL, Comune di Trento
- PROGETTO Interscambi educativi e formativi 2018-2019
Finanziatore: Provincia Autonoma di Trento – Programma di cooperazione internazionale 70% e 30 % risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor
Luogo: Bosnia Erzegovina
Tempo: Annuale
Partner: Scuola Agraria di Prijedor, Istituto Agrario di San Michele, Centro di Formazione dell’Istituto Agrario, Sindaco e amministrazione locale della Città di Prijedor, Agenzia per lo sviluppo locale PREDA, Municipalità di Prijedor, Liceo Galilei Trento, Istituto Rosa Bianca Cavalese, CFP Pertini, Scuola economica Prijedor, Opera Prima Ala, Scuola musicale “Savo Balaban” Prijedor, Scuola meccanica Prijedor, Liceo “Sveti Sava” Prijedor, Associazione teatrale “Arteviva”.
- PROGETTO Ristrutturazione servizi igienici nelle scuole primarie “Desanka Maksimovic” e “Petar Kocic” a Prijedor
Finanziatore: Regione TAA 70% e 30% risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor
Luogo: Bosnia Erzegovina
Tempo: Annuale
- PROGETTO educazione ambientale con risvolti teorici e pratici “Si impara facendo 2019”
Finanziatore: Comune di Trento 67% e 33% risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor
Luogo: Bosnia Erzegovina
Tempo: Annuale
- PROGETTO MURALES Concorso Internazionale Paola de Manincor – Realizzazione settimo murales a Prijedor
Finanziatore: Comune di Lavis e Comune di Prijedor
In particolare, il presidente Dario Pedrotti si è soffermato su due punti: il primo ha riguardato una presentazione dettagliata delle attività e delle missioni riguardanti i vari progetti e le attività previste per il 2020; nel secondo ha ricordato che solo un progetto è stato finanziato al 100%; l’Associazione Progetto Prijedor ha dovuto sostenere la realizzazione del resto dei progetti, escluso il progetto affidi, con fondi propri, dal 20% al 30%.
Il settimo progetto, Affidi a distanza è stato presentato dalla vicepresidente Cristina Bertotti la quale ha ripercorso la storia del progetto dal 1997, cioè dalla sua nascita. Da allora sono state assistite 985 famiglie con un importo complessivo, alla data del 31.12.2019, di € 1.638.672,65 (nei primi anni portato in contanti, non essendoci banche affidabili, e poi attraverso bonifici). Ad oggi ci sono 129 famiglie adottate da 119 affidatari, in quanto alcuni affidatari hanno più di un affido.
Il commercialista Mauro di Valerio ha presentato il bilancio del 2019, evidenziando che sono stati analizzati attentamente tutti i progetti, di cui ha inviato tutte le schede all’Associazione. Il bilancio del 2019 si chiude con un disavanzo di 16.894,03 euro e poiché l’Associazione non ha un patrimonio da cui attingere per sanare il disavanzo, si va in predita di 16.894,03. Nonostante questa predita, Mauro di Valerio ha evidenziato che rispetto all’anno scorso si è verificato un miglioramento, in quanto l’anno scorso il disavanzo è stato di 34.927,50. Il bilancio del 2019, come predisposto da Mauro di Valerio, è stato approvato dal Consiglio Direttivo dell’Associazione nella seduta del 25 maggio 2020 con l’impegno da parte dell’Associazione di mettere in atto strategie per diminuire le spese ed aumentare le entrate: in primis attivando la sottoscrizione per un fondo di solidarietà partendo dai membri del Consiglio Direttivo e ampliando poi la sottoscrizione ai sostenitori e affidatari, e diminuendo i costi delle strutture a Prijedor e a Trento.
L’Assemblea ha approvato il bilancio così come è stato approvato dal Consiglio Direttivo, con 35 voti favorevoli e due astenuti.
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Quell’11 luglio a Srebrenica
Edvard Cucek ricorda la tragedia di Srebrenica, nel 25° anniversario, in un articolo già apparso su atlanteguerre.it (clicca QUI per leggere l’originale).
L’11 luglio il mondo ricorda i 25 anni dal genocidio di Srebrenica. Per alcuni genocidio, per altri uno sterminio di massa, per alcuni addirittura un fatto mai accaduto. In realtà, i due termini, di cui il primo è molto più grave di secondo, non cambiano minimamente le circostanze nelle quali accadde il tutto e nemmeno il numero delle vittime. L’episodio è avvenuto nella zona protetta dalle Nazioni Unite e dai loro caschi blu. Come negli anni precedenti a Srebrenica si riverseranno le solite più o meno 20mila persone. L’umanità si recherà in quel luogo per ricordare un episodio di cui naturalmente dovrebbe vergognarsi. Quella cittadina, fondata sulla antica Argentium romana dai minatori sassoni arrivati in Bosnia nel quattordicesimo secolo al seguito degli inviti dei Re bosniaci Stjepan Kotromanić e Tvrtko è diventata nel tempo importante per l’intero regno e per le aree circostanti grazie ai commercianti ragusei (della Dubrovnik odierna). Proprio lì infatti fondarono la loro colonia, rimasta attiva fino alla caduta del regno bosniaco sotto gli Ottomani.
Quest’anno dovrebbero essere seppelliti altri 11 resti umani identificati portando il numero finale delle lapidi da 6482 del 2019 a 6493. Altri 37 resti sono in attesa dell’autorizzazione dei famigliari nel “Centro di identificazione Podrinje”. Ne restano ancora altri 99 da identificare nel “Centro commemorativo a Tuzla”. E poi…?
Il giorno 11 luglio 2020 durerà le sue 24 ore. I venditori delle magliette con su scritto il numero delle vittime, disgustosa idea commerciale da proibire, faranno gli affari. Si venderanno le tonnellate di ćevapi e altri cibi del tradizionale “street food bosniaco” per sfamare le migliaia di pellegrini e curiosi che verranno a Srebrenica per la prima volta. La vita tornerà quella che conoscono bene gli abitanti di una volta ricca e nel mondo conosciuta Srebrenica. Conosciuta molto prima che si sapesse di Zagabria con quel nome, prima che la Sarajevo di oggi fosse fondata. Si tornerà alla vita che interessa poco ai politici e tanti altri che si presentano lì solo in quel giorno per essere visti. Loro ed il “loro dolore”.
Non saranno loro, nonostante l’ennesima promessa, a fare qualcosa per cambiare la vita dei sopravvissuti, rientrati, vivi e propensi a crescere lì i loro figli, se solo potessero contare su un briciolo di sostegno. In quella giornata verranno pronunciate le banalità di sempre, confezionate a seconda dei tempi che corrono e dette “solennemente” da qualche nuovo funzionario politico, di solito bosgnacco (musulmano) e possibilmente unitarista, con le promesse di un futuro se non d’oro allora almeno d’argento per i suoi connazionali sofferenti.
Pochi penseranno di offrire qualche posto di lavoro, di costruire qualche asilo nido, scuole, di ripristinare le strade, gli acquedotti, la rete elettrica e rendere la vita ai “sopravvissuti” dignitosa e sopportabile.
In quella stessa giornata, oltre il fiume Drina, come ogni anno, i negazionisti e le autorità della vicina Serbia, sempre solidali con i fratelli serbo bosniaci, suonando su tutte le campane inviteranno il mondo a riflettere e respingere una volta per sempre “tutta questa messa in scena” con i numeri gonfiati e falsi. Nonostante tutti gli scenari ormai standardizzati nel corso degli anni, la differenza tra i 36.666 abitanti di Srebrenica come da censimento del 1991 e quei 13.409 del censimento del 2013, ovvero 23 257 anime in meno, alle quali vanno aggiunti quelli perennemente disoccupati che nel frattempo hanno dovuto andar via oppure sono tornati solo “sulla carta”, non sarà ridotta di una cifra.
La giornata di vero dolore di coloro che vengono a piangere i propri cari e a cui la vita è stata stravolta per sempre, ma anche quella d’occasione per i vari opportunisti della politica attuale in cerca di visibilità, sarà il giorno successivo rimpiazzata dalla grigia quotidianità di coloro che oramai raramente pronunciano la parola speranza.
Tutti gli occhi che guardano Srebrenica anche in novembre quando è piena di fango o in gennaio, quando il manto della neve bosniaca copre completamente le lapidi e le disastrose strade cittadine in modo da rendere il tutto armonioso, resteranno da soli fino al prossimo 11 luglio. A riflettori e microfoni spenti. Andrà avanti così. Fino al giorno, se il trend dovesse continuare, in cui in un luglio fra vent’anni gli unici abitanti con residenza fissa, in quella cittadina con una storia ricca e sofferta, saranno solo le vittime sepolte nel memoriale di Potočari. Soltanto perché da lì, da sole, non potranno mai andare da nessun’altra parte.