Il libro di un poeta e scrittore di Prijedor, Darko Cvijetić, solleva polemiche sulle vicende tragiche che negli anni ’90 hanno colpito la città. Dello scrittore, della sua ultima opera e delle ferite ancora aperte di Prijedor ci parla Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 23/04/2020 (clicca qui per vedere l’articolo).
(immagine in homepage tratta dal sito hiperboreja.blogspot.com)
Darko Cvijetić è uno scrittore di prosa e poesia. Drammaturgo, attore e regista bosniaco nato il 11.01. 1968 a Rudnik –Ljubija nei pressi della città Prijedor (Bosnia ed Erzegovina). Anche se la sua carriera effettivamente ebbe inizio ancora prima degli eventi che segneranno la sua città di Prijedor in modo tragico e indelebile lui nel mondo della letteratura sarà “scoperto” soltanto nei primi anni duemila con la raccolta dei brevi racconti di nome “Manifest Mlade Bosne” (Manifesto di Mlada Bosna) –Prometej – Novi Sad.
Che scrivere di qualsiasi tema riguardante quanto accaduto nei primi anni novanta sul territorio di Prijedor è un lavoro non appagante, spesso anche pericoloso, negli anni precedenti è stato più volte ribadito e diversi giornalisti né sanno qualcosa.
Tra gli altri ci sono anche questi temi che nelle poesie e racconti di questo autore molto insolito ci vengono riproposti. Quanto questa sua scelta gli rende la vita non invidiabile, essendo ancora residente nella sua città natale e non appartenendo nominalmente alla etnia di maggioranza (da quelle parti serbo bosniaca), non sarà una grande scoperta. A parte questa routine, del lavoro ad alto rischio, il suo ultimo romanzo di prosa intitolato “Schindelrov lift” (L’ascensore di Schindler) pare stia diventando un problema oltre agli scontri quotidiani dei nazionalismi locali sempre impegnati nel identificare le vittime e dimenticare i carnefici tra le proprie fila e viceversa quando si tratta degli atri.
Secondo quanto pubblicato recentemente sul sito di un’altro scrittore bosniaco, ormai di fama mondiale Miljenko Jergović, con il titolo significativo “Lift koji optužuje pisca” ( L’ascensore che denuncia lo scrittore) risulta che il nome, scelto dallo stesso autore Darko Cvijetić, per il suo ultimo libro che ha già suscitato molto interesse e ha raccolto molte critiche positive, potrebbe portarlo in tribunale.
L’autore
Prima di arrivare al caso in fase di diventare vicenda giudiziaria vorrei dedicare qualche riga in più a favore di Darko Cvijetić.
Anche se a tanti può sembrare il fatto irrilevante io vorrei esprimere la mia piena ammirazione di fronte a quest’uomo che dedica così tanto alle vittime innocenti di Prijedor. Non si stanca, richiamando in certo senso, la popolazione a ripensarci, accettare e elaborare i fatti del conflitto in modo onesto e umano. Non accusa ma chiede la catarsi. Per poter vivere di nuovo e per togliere l’enorme peso di negazionismo dalle future generazioni. E’ vero. Ci sono anche gli altri, tra cui si “impone” il nome di ormai famoso Miljenko Jergović, ma Cvijetić è uno dei pochissimi che agisce dal suo indirizzo storico. Jergović non è mai tornato realmente in Bosnia e a Sarajevo. Nei loghi dai quali partono tutte le sue storie di successo mondiale. Invece, Darko Cvijetić vive ancora a Prijedor, nello stesso edifico, in stesso appartamento ed è così audace di scrivere le poesie, romanzi e le sceneggiature per gli spettacoli teatrali, tradotti spesso nelle lingue più parlate al mondo, e dedicati alle vittime della minoranza odierna di Prijedor.
Oggi il suo pubblico lo conosce soprattutto come autore di poesia. La sua poesia del dopoguerra è caratterizzata da alcuni argomenti di cui scrive, a volte sembra quasi ossessivamente. Lascia volutamente che tutte le vergogne umane che hanno avuto luogo nella sua città natale diventino la cifra della sua testimonianza artistica e umana. Anche se non perde l’occasione di affermare di non credere che la poesia abbia alcun potere di fronte agli orrori dei stermini di massa non smette di scrivere molto spesso dei temi in cui il lettore senza dubbio riconosce la recente tragedia. I campi di concentramento di Prijedor, uccisioni dei civili o fosse comuni che custodiscono i segreti dei crimini di cui non si vuole parlare. Insomma, Cvijetić non smette di toccare i punti dolenti, evitando di nominare le persone e i luoghi però lasciandoci disarmati di fronde alle evidenze difficili da non vedere e da non sentire. Riesce ad arrivare anche al teatro, come regista e drammaturgo e non si defila nemmeno quando c’è da mettere i piedi sul palco.
“Da solo contro tutti”; si direbbe.
Schindlerov lift
Mi sembra dovuto dire che con il romanzo “Schindlerov Lift” pubblicato da Buybook nel 2018, non ha minimamente tradito le proprie scelte di raccontarsi come essere umano e come artista. Nel libro di appena 90 pagine, con un secolo raccontato dentro però, Cvijetić ha raccolto le storie di un grattacielo rosso di Prijedor dove si è trasferito nel 1974 e ancora ci vive. Lì ha assistito a quasi tutto. Dai matrimoni e battesimi alle feste religiose e quelle statali. Amori, litigi e funerali per arrivare alla fine a vedere delle brutali uccisioni. I vicini che ammazzavano i primi vicini. Una volta testimoni di nozze, compagni di squadre sportive, amici ai quali si giurava la fedeltà fino alla morte. Tante volte era proprio “la fedeltà fino alla morte”.
Come da lui detto in una delle occasioni; “le storie che ho scritto in 23 giorni le ho già 23 anni in gola”.
Con quale idea esatta e quanto Cvijetić ha “sfruttato” il potenziale simbolico dello straordinario capolavoro cinematografico di Steven Spielberg “Schindler’s List” (La lista di Schindler) dando al suo ascensore lo stesso nome metaforico, sarà il futuro a giudicare. Se qualcuno ha pensato che nel grattacielo di Cvijetić l’ascensore fosse stato realmente prodotto dalla azienda “Schindler” si sbaglia. Quell’ascensore, ormai incriminato, è stato prodotto da un’azienda belgradase David Pajić – DAKA. L’autore non nasconde che il titolo gli è stato suggerito da Selvedin Avdić, uno scrittore bosniaco di Zenica e che l’eventuale scelta di intitolare il libro “L’ascensore di David” oggi potrebbe dare fastidio a qualcuno. A prescindere dal titolo del romanzo e dalla scelta di “ribattezzare” l’ascensore come un prodotto della “Schindler”, tutta la tragedia raccontata nel libro gira in realtà intorno a lui e ad un episodio accaduto proprio nell’ascensore in cui perse la vita una bambina, Stojanka Kobas, in modo dei più orribili che possiamo immaginare. La bambina e la sua famiglia si era appena trasferita in uno dei appartamenti dell’edificio. La corrente elettrica in quella stagione mancava anche per diversi giorni e poi ritornava improvvisamente e per poco. La bambina si era abituata a giocare nell’ascensore di cui la porta spesso rimaneva aperta. Quel giorno la corrente tornò all’improvviso. Per un’ora o due. Qualcuno chiamò l’ascensore. Mentre la bambina spintasi fuori attraverso l’apertura della porta chiamava le amiche l’ascensore si avviò.
Era la primavera del 1992. Pochi giorni prima che a Prijedor si scatenasse il putiferio infernale la tragica fine di una vita di soli sei anni innocente fino ai cieli restò dimenticata. Già il giorno dopo cancellata da altri eventi più grandi e più gravi.
Cvijetić attraverso questo edifico, scherzosamente chiamato da un postino molto prima della guerra “paesino verticale”, racconta prima di tutto la Jugoslavia e tutti i suoi paesini e borghi verticali (etnicamente puliti non esistevano) che da luoghi di convivenza e tolleranza sono diventati le scene dei crimini inspiegabili. Lo racconta anche in una delle interviste rilasciate a portal novosti.
Pur avendo raccolto le critiche molto positive, un premio letterario “Fric” (Fritz, il soprannome dello scrittore croato Miroslav Krleža), tante recensioni che lo mettono a fianco dei scrittori molto più grandi e coraggiosi nella lotta di raccontare il passato recente a tutti e onestamente, quanto raccontato nel romanzo “Schindlerov Lift”, tanti credevano fosse finzione. Soprattutto la parte che racconta la tragica morte della piccola Stojanka. Dovette stesso Cvijetić ribadirne la veridicità in un’intervista aggiungendo un dettaglio agghiacciante.
Cvijetić raccontò che dopo aver terminato di scrivere il romanzo si mise a cercare qualcuno dei familiari della piccola vittima. Trovò la sua madre in un villaggio a vivere nelle condizioni della estrema povertà. Dopo essersi accertato della sua identità le fece una domanda la cui risposta fu straziante, distruttiva fino ad essere difficilmente spiegabile soltanto come una fatale coincidenza. Chiese alla signora che cosa sapesse della tragedia a lui ancora sconosciuto. La madre gli rispose che a chiamare l’ascensore fu un certo signore del nono piano che l’autore crede di conoscere.
Concludo la storia con la notizia accennata all’inizio. Secondo quanto pubblicato sul sito dello scrittore Miljenko Jergović in data 25 .03 2020, basato sulla lettera inviatagli dallo stesso Darko Cvijetić qualche giorno prima, all’indirizzo dell’editore di libro in Germania e all’indirizzo dell’abitazione del autore è arrivata la lettera, anzi diversi documenti in lingua tedesca, di carattere abbastanza minaccioso. Nella lettera scritta dal team degli avvocati della azienda svizzera “Schindler” che produce gli ascensori, datata poco dopo dell’intervista di Cvijetić rilasciata alla testata giornalistica tedesca “Spiegel” si precisa che i loro prodotti, di nicchia nel settore, non sono delle ghigliottine e che non hanno niente a che fare con L’Olocausto o la guerra in Bosnia e Erzegovina. Per il momento i rappresentanti legali della rinomata azienda svizzera dall’autore e dall’editore chiedono “spiegazioni valide” sul fatto di aver scelto il nome del loro prodotto come titolo del romanzo prima di un possibile epilogo giudiziario. Il suddetto romanzo in lingua tedesca non è ancora disponibile sul mercato.
“Speriamo abbiano letto il romanzo prima di avviare questo intervento macchinoso”, concordano Cvijetić e Jergović nel loro commento.