Il 19 febbraio è morto a Novi Sad il famoso cantautore jugoslavo Đorđe Balašević (1953 – 2021). Lo ricorda Edvard Cucek in un articolo, già apparso sull’Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa il 24 febbraio.
Buon vento, mio caro Balaš
Caro mio,
tra le tante cose che vorrei dirti penso comunque a quelle che sei riuscito a dire a noi. Ad una in particolare. Che hai scritto tempo fa: “La vita? Sai quando sulla tomba c’è la data della nascita e la data della morte? Ecco, quel trattino in mezzo… quella è la vita”. Il trattino tra le tue due date, rimasto troppo corto, appartiene anche a noi. Noi di ogni età. Credo di poterlo dire a nome della tua di generazione, quella degli anni ’50, ma anche della mia, degli anni ’70… ed a nome di quelli che devono ancora nascere. Ti ameranno anche loro.
Ci lasci caro Balaš. Mi è sempre piaciuto chiamarti semplicemente Balaš. Ormai da decenni sei il nostro Đole Balaš. Ci lasci proprio adesso. Anche se sono sicuro che non sarebbe mai arrivato “il momento giusto” per perderti. E che sarebbe stato prematuro anche se te ne fossi andato fra 20 anni.
Mi auguravo che questo momento accadesse quando anch’io fossi stato anziano. Ma non è avvenuto così. E ora cerco di ricordarmi quando per la prima volta ho sentito una delle tue intramontabili canzoni. Una delle tue poesie accompagnate dalla musica.
E non mi ricordo.
Già alle elementari cantavamo le tue storie di vita. Quelle inserite nel programma scolastico come “Računajte na nas” (Contate su di noi) e quelle che ci piacevano da morire, quando volevamo divertirci. Come “Mirka” o l’altrettanto leggendaria “Za sve je kriv Toma Sojer” (Tutta colpa di Tom Sawyer). Ma non mancavano le canzoni d’amore come “Lepa protina kći” (La bella figlia dell’arciprete) oppure “Život je more” (La vita è il mare) che cantavamo durante le scolaresche lanciando gli sguardi alle nostre giovanissime “Olivere”.
Non è mia intenzione elencare in questa occasione tutto quello che hai scritto e che ci hai regalato, ma potrei orgogliosamente dire che conosco quasi tutto il tuo operato. Da poeta, scrittore, musicista, attore, ambasciatore di pace… Da uomo! Scritto con i caratteri cubitali.
Non mi ricordo però quando ti sei presentato per la prima volta alla mia generazione. Non mi ricordo da quando ci consociamo noi due, mio caro Balaš. Pare da quando ho cominciato a coltivare sentimenti e custodire ricordi.
Tutta la mia vita, dunque.
Sono in molti che come me potrebbero esprimere sentimenti simili: senza di te saremmo sicuramente cresciuti in modo diverso. Più poveri. Meno felici, anche quando soffrivamo per i nostri primi amori (e anche per quelli successivi a dire il vero) immersi nelle tue canzoni.
Come riuscivi a farlo? Eri tremendamente sincero raccontandoci la tua vita. Ecco perché ci ritrovavamo sempre in uno dei protagonisti dei tuoi racconti musicali. Nei tuoi poemi che non lasciavano spazio per le interpretazioni. Ecco perché davanti ai primi accordi delle tue canzoni si abbracciavano quelli che amavano la musica heavy metal con quelli che amavano la musica punk. Si faceva pace. Quella che invocavi, durante la tua lunga carriera da cantautore iniziata ancora nel 1977. Eri il solo che riusciva, con le tue magiche note, a fare in modo che uno che non ascoltava altro che i Sex Pistols piangesse insieme ad un feroce fan degli Stray Cats. Facevi i miracoli caro mio. Almeno uno dei nostri brani composti da adolescenti doveva assomigliare sia nel testo che nella musica alle tue canzoni. Altrimenti si era “scarsi”.
Sono stato fortunato a vederti ed a poterti ascoltare in concerto. Che a quell’epoca sfociavano in crisi tra le giovani repubbliche ex jugoslave. Ti ho visto per la prima e l’ultima volta nel lontano 1997. Vent’anni della tua carriera celebrati con un concerto organizzato in primis per il pubblico croato e bosniaco a Lubiana. Mi ricordo le due ragazze di Mostar sedute di fronte a me e il mio amico d’infanzia che canticchiavano tutto il tempo. Mi ricordo di una signora, all’epoca 40 enne, che sul pullman per Lubiana viaggiava da sola. Pensierosa ma dall’aria incredibilmente romantica. Mi domandavo cosa la spingesse a venirti ad ascoltare.
In Croazia ancora non potevi cantare. Davi fastidio un po’ a tutti degli establishment statali in quegli anni. Eri scarso come serbo, in quanto di madre slovena e di presunte origini paterne ungheresi. Troppo legato a quella Vojvodina autonomista. Sostenevi il premier assassinato Zoran Đinđić e criticavi apertamente il regime di Slobodan Milošević. Un vero croato non sei mai stato, nonostante fosse impossibile separare te, Arsen Dedić e Oliver Dragojević le leggende della scena musicale croata, da qualche anno scomparsi anche loro. Amavi e difendevi troppo la Bosnia di tutti i suoi cittadini. Sei andato a cantare a Sarajevo troppo presto dopo l’assedio e questa mossa in tanti non te l’hanno mai perdonata. In primo luogo i “miei” e i “tuoi” di Banja Luka.
Non eri di nessuno di loro. Ma eri nostro fino in fondo.
E così quell’anniversario dei vent’anni di carriera, da Zagabria, dove era cancellato, fu spostato a Lubiana, facendo infuriare chi spingeva per l’isolamento della Croazia dal resto della regione balcanica sino ad arrivare ad un vero e proprio incidente diplomatico con la Slovenia: ero in uno di quei 22 pullman, partiti da Zagabria, fermati dalla polizia croata al confine croato-sloveno di Bregana. Ci hanno schedati uno ad uno. Il rischio di non arrivare a Lubiana quel primo dicembre del 1997 in tempo per l’inizio del concerto fu altissimo. La tensione era alta. Non ci permisero per diverse ore di scendere dai pullman mentre da fuori sentivamo quelli che dovevano essere degli insulti. Ci chiamavano jugonostalgici.
La stessa cosa sarebbe poi accaduta alle due di notte, nel rientro a Zagabria. Ma fu meno drammatico. Eravamo ormai purificati dal tuo concerto, disarmati dalla potenza della tua esibizione di 4 ore e mezza senza che nemmeno bevessi un bicchiere d’acqua. Quella notte sei diventato definitivamente il mio re. Il re del piccolo mondo di un profugo bosniaco di 22 anni con “l’indirizzo forzato” in una delle città della pianura croata. Ti ho visto da vicino. Tanto vicino che sono riuscito a lanciare una letterina, come da tradizione, sul palco. L’avrai mai letta? Non importa. Lì non c’era scritto niente altro di quello che tu non ci avessi già insegnato. Amore e pace prima di tutto.
Eri una specie di guardiano durante i miei anni di guerra, durante quelli da profugo scombussolato, durante i travagliati periodi della vita nella mia nuova patria italiana. Tutti i tuoi album hanno viaggiato con me ovunque.
C’eri sempre. Io ci sono soltanto adesso. Sarebbe stato più onesto se avessi scritto queste righe mentre cantavi ancora. L’indirizzo lo sapevo. Da sempre. Eri sempre tu a ricordarcelo nella tua famosissima “Neki novi klinci” (Alcuni fanciulli nuovi).
Ho tentato di avvicinarmi anche un’altra volta. Era l’agosto del 2019. Insieme alla famiglia feci una sorta di jugo-tour. Per la prima volta nella vita abbiamo visitato la tua magnifica città, Novi Sad. La regina della tua Vojvodina. A tutt’oggi culla del multiculturalismo. Ferita ma viva.
Siamo stati tentati, ma non abbiamo osato, di suonare alla tua porta, qualche minuto prima delle 22.00 di un martedì. Lo facevano in tanti, sperando che qualcuno si sarebbe affacciato, a cui lasciare per te un messaggio. Se aveste aperto a tutti in qualsiasi ora della notte… Figuriamoci. Forse però se tu avessi saputo da dove venivamo per vederti…?!
Non importa caro mio. Non ha molto senso ricordare qui le moltissime verità da te cantate. Vorrei però riprendere un verso della tua canzone intitolata “Panonski mornar” (Marinaio pannonico);
Il mio mare non c’è e non so cosa fare
Mio padre dice che il Danubio non è male
Il mio mare non c’è ma io vivo nella speranza
Che comunque da qualche parte ci incontreremo ancora
Proprio a me che capita ‘sta cosa
Questa è storia per le lacrime e per ridere
Qualche marinaio forse rimane senza nave
Ma senza mare, questa è una sfiga particolare…
Troverai laddove sei andato il tuo mare perduto. Sono sicuro. Aspettaci. Ci saremo in tanti imbarcati sulla tua nave. Prima o poi. Buon vento mio caro Balaš.