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ADDIO A ZIO JOVO, EROE DI UNA “GUERRA PERSA”

ADDIO A ZIO JOVO, EROE DI UNA “GUERRA PERSA”

L’8 aprile è morto a 84 anni Jovan Divjak, il generale serbo-bosniaco che aveva difeso Sarajevo durante l’assedio della città durante la  guerra in Bosnia negli anni Novanta. Lo ricorda Edvard Cucek (con lui nella prima foto del testo) e due immagini di Zio Jovo, com’era colloquialmente chiamato, di Mario Boccia. E’accanto a allo scrittore Predrag Matvejević e al giornalista Zlatko Dizdarević. 

di Edvard Cucek

Divjak con Matvejevic e Dizdarevic, foto di Mario Boccia
Divjak con P. Matvejević e Z. Dizdarević, foto di Mario Boccia

Mi coglie naturalmente incredulo questa triste notizia. Zio Jovo, Generale difensore della Sarajevo assediata,fondatore della Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina”, uomo tutta la vita rimasto sulla stessa sponda, quella della verità, Jovan Divjak se ne è andato per sempre. Anche se all’età di 84 anni – con un percorso della vita straricco e pieno di obbiettivi raggiunti molto importanti – perderlo, ne sono consapevole adesso, sarebbe stato ed è comunque e sempre troppo presto. Lascia infatti un vuoto incolmabile. A noi bosniaci, agli europei, al genere umano.

Jovan Divjak con Edvard Cucek
Jovan Divjak con Edvard Cucek

Sarebbe un’occasione sprecata scrivere adesso qualcosa di essenziale e che riguarda una conoscenza quasi casuale e un’amicizia andata avanti per diversi anni, scrivendo dei dati anagrafici di Zio Jovo (così gli piaceva essere chiamato), oppure del suo percorso da soldato e da eroe della difesa di una delle città più multietniche di tutta la vecchia signora Europa. Alcune cose devo dirle però. Raccontate proprio da lui.

Anche se belgradese di nascita, aveva capito, ancora anni prima della guerra bosniaca, che quello di Sarajevo sarebbe stato per sempre il suo destino. Non ha tradito mai le proprie convinzioni. Nemmeno in quei primi giorni della sanguinosa primavera del 1992 che vedrà la sua Sarajevo incatenata dai criminali dell’esercito di Radovan Karadzić e Ratko Mladić, quando bloccò tutti gli armamenti leggeri della “Difesa Territoriale” (una specie di esercito regionale) e invece di consegnarli al quartier generale di allora – Armata Popolare Jugoslava – le consegnò ai cittadini di Sarajevo creando così le prime formazioni militari che per 4 lunghi anni difenderanno la propria città. Lui, serbo, nato a Belgrado.

Da quel giorno per tanti diventò “Il Generale serbo che difese la Sarajevo dai suoi”. Ma quanto sfortunato questo “inquadramento” di un uomo con uno spessore umano che dovremo ancora scoprire. Dal mio modesto punto di vista un uomo, soldato di professione, che ha difeso la cultura del vivere insieme, spesso sottolineata da qualche “europeista occasionale” ma anche da quelli veri, e da tutti i cittadini di Sarajevo. Tutti! E li difendeva dai criminali comandati da serbo bosniaci. Questi sono i fatti storici.

Comunque come tale non è mai stato accettato da quella parte dei “patrioti” sarajevesi o bosniaci per i quali essere un vero patriota bosniaco presumeva anche l’appartenenza all’etnia bosgnacco musulmana. Insomma parlo dei circoli vicini al “Partito del Azione Democratica” – SDA del presidente d’allora Alija Izetbegovic. Per questo motivo Zio Jovo sarà anche pensionato molto prima della fine dell’assedio. Quell’anno 1994, Zio Jovo fonderà la Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina” la quale in questi 27 anni ha dato la possibilità di avere un livello d’istruzione medio alto e alto a un intero esercito di giovani bosniaci. Un vero esercito del nostro Jovan che gli sarà fedele per sempre.

Divjak nella sede dell'Associazione "L'Istruzione costruisce la Bosnia Erzegovina", foto di Mario Boccia
Divjak nella sede dell’Associazione “L’Istruzione costruisce la Bosnia Erzegovina”, foto di Mario Boccia

Così Zio Jovo, dopo aver difeso la cultura di vivere insieme e il multiculturalismo, camminando da solo (sempre senza guardaspalle) sulle prime linee del fronte incoraggiando i difensori e i civili, aveva deciso di difendere anche il diritto alla istruzione alle fasce più vulnerabili. Altra battaglia da vincere. Sempre tra la gente, camminando a testa alta senza paura mentre nella vicina Banja Luka o a Belgrado sulla sua testa si scrivevano le taglie per presunti crimini di guerra. Arrivate persino a Vienna dove sarà per diversi mesi chiuso in un albergo in attesa di chiarimenti diplomatici e giudiziari. Tornerà alla sua Sarajevo vincendo anche questa ingiustizia. Abbracciandola e per essere abbracciato.

Per finire un fatto di cui la vecchia signora Europa sa poco, anche perché spesso Zio Jovo deve essere dipinto seguendo uno schema preciso. Come già detto, Zio Jovo dovrebbe restare “il Serbo che difese i patrioti sarajevesi, spesso soltanto di etnia bosgnacco musulmana, dai suoi”. Ossia uno che si era “venduto” alla politica che sosteneva la Bosnia, innanzi tutto i bosgnacchi musulmani e di conseguenza traditore dei suoi, dei serbi. Traditore di tutti serbi. Anche quelli, diverse migliaia, che a Sarajevo sopravvissero proprio grazie a lui.
In mezzo si infila, quasi timidamente, tutta la storia di un uomo coraggioso e onesto che rischiò tutto per difendere i valori in cui credeva racchiusi in una città martoriata pur sapendo che dalle colline circostanti circondate dai “suoi” per lui era riservata una morte sicura. Un uomo che alle spalle non aveva mai il vero sostegno di un establishment politico anche se voleva presentarsi al mondo intero come un patriota e alla guida di un Paese che subiva un’aggressione militare.

Lo ribadì Zio Jovo a dicembre del 1997 quando con una lettera decise di restituire al Presidente della Bosnia ed Erzegovina d’allora Alija Izetbegovic i riconoscimenti, le onorificenze e le insigne del Generale brigadiere dell’Armata delle Bosnia ed Erzegovina (AR BiH) in seguito alle indagini che testimoniavano diversi casi di uccisioni di civili nella Sarajevo assediata non di etnia bosgnacco musulmana, compiuti o ordinati dai militari della stessa AR BiH tra i quali alcuni ancora dopo la guerra ricoprivano cariche importanti nello Stato e nella gerarchia militare e i quali il Presidente Izetbegovic non volle mai processare e tantomeno privarli dalle onorificenze militari. Anzi, ci furono dei casi in cui per alcuni criminali di guerra furono organizzati funerali solenni statali.

Per me era molto doloroso quello che mi disse Zio Jovo quando ci siamo visti ultima volta. “Non pensavo in quegli anni di difendere la Sarajevo di oggi, ma non rimpiango, ho sempre difeso le persone deboli e mi è capitato di farlo proprio qui”. Il Mondo è Sarajevo e io auspico che Sarajevo, almeno per quegli eroi come Zio Jovo, resti sempre il Mondo. Piccolo ma aperto a tutti.

 

IN RICORDO DI ĐORĐE BALAŠEVIĆ

IN RICORDO DI ĐORĐE BALAŠEVIĆ
Đorđe Balašević, foto tratta da kurir.rs
Đorđe Balašević, foto tratta da kurir.rs. Foto in home page tratta da youtube.com.

 

Il 19 febbraio è morto a Novi Sad il famoso cantautore jugoslavo Đorđe Balašević (1953 – 2021). Lo ricorda Edvard Cucek  in un articolo, già apparso sull’Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa il 24 febbraio.

Buon vento, mio caro Balaš

Caro mio,

tra le tante cose che vorrei dirti penso comunque a quelle che sei riuscito a dire a noi. Ad una in particolare. Che hai scritto tempo fa: “La vita? Sai quando sulla tomba c’è la data della nascita e la data della morte? Ecco, quel trattino in mezzo… quella è la vita”. Il trattino tra le tue due date, rimasto troppo corto, appartiene anche a noi. Noi di ogni età. Credo di poterlo dire a nome della tua di generazione, quella degli anni ’50, ma anche della mia, degli anni ’70… ed a nome di quelli che devono ancora nascere. Ti ameranno anche loro.

Ci lasci caro Balaš. Mi è sempre piaciuto chiamarti semplicemente Balaš. Ormai da decenni sei il nostro Đole Balaš. Ci lasci proprio adesso. Anche se sono sicuro che non sarebbe mai arrivato “il momento giusto” per perderti. E che sarebbe stato prematuro anche se te ne fossi andato fra 20 anni.

Mi auguravo che questo momento accadesse quando anch’io fossi stato anziano. Ma non è avvenuto così. E ora cerco di ricordarmi quando per la prima volta ho sentito una delle tue intramontabili canzoni. Una delle tue poesie accompagnate dalla musica.

E non mi ricordo.

Già alle elementari cantavamo le tue storie di vita. Quelle inserite nel programma scolastico come “Računajte na nas” (Contate su di noi) e quelle che ci piacevano da morire, quando volevamo divertirci. Come “Mirka” o l’altrettanto leggendaria “Za sve je kriv Toma Sojer” (Tutta colpa di Tom Sawyer). Ma non mancavano le canzoni d’amore come “Lepa protina kći” (La bella figlia dell’arciprete) oppure “Život je more” (La vita è il mare) che cantavamo durante le scolaresche lanciando gli sguardi alle nostre giovanissime “Olivere”.

Non è mia intenzione elencare in questa occasione tutto quello che hai scritto e che ci hai regalato, ma potrei orgogliosamente dire che conosco quasi tutto il tuo operato. Da poeta, scrittore, musicista, attore, ambasciatore di pace… Da uomo! Scritto con i caratteri cubitali.

Non mi ricordo però quando ti sei presentato per la prima volta alla mia generazione. Non mi ricordo da quando ci consociamo noi due, mio caro Balaš. Pare da quando ho cominciato a coltivare sentimenti e custodire ricordi.

Tutta la mia vita, dunque.

Sono in molti che come me potrebbero esprimere sentimenti simili: senza di te saremmo sicuramente cresciuti in modo diverso. Più poveri. Meno felici, anche quando soffrivamo per i nostri primi amori (e anche per quelli successivi a dire il vero) immersi nelle tue canzoni.

Come riuscivi a farlo? Eri tremendamente sincero raccontandoci la tua vita. Ecco perché ci ritrovavamo sempre in uno dei protagonisti dei tuoi racconti musicali. Nei tuoi poemi che non lasciavano spazio per le interpretazioni. Ecco perché davanti ai primi accordi delle tue canzoni si abbracciavano quelli che amavano la musica heavy metal con quelli che amavano la musica punk. Si faceva pace. Quella che invocavi, durante la tua lunga carriera da cantautore iniziata ancora nel 1977. Eri il solo che riusciva, con le tue magiche note, a fare in modo che uno che non ascoltava altro che i Sex Pistols piangesse insieme ad un feroce fan degli Stray Cats. Facevi i miracoli caro mio. Almeno uno dei nostri brani composti da adolescenti doveva assomigliare sia nel testo che nella musica alle tue canzoni. Altrimenti si era “scarsi”.

Sono stato fortunato a vederti ed a poterti ascoltare in concerto. Che a quell’epoca sfociavano in crisi tra le giovani repubbliche ex jugoslave. Ti ho visto per la prima e l’ultima volta nel lontano 1997. Vent’anni della tua carriera celebrati con un concerto organizzato in primis per il pubblico croato e bosniaco a Lubiana. Mi ricordo le due ragazze di Mostar sedute di fronte a me e il mio amico d’infanzia che canticchiavano tutto il tempo. Mi ricordo di una signora, all’epoca 40 enne, che sul pullman per Lubiana viaggiava da sola. Pensierosa ma dall’aria incredibilmente romantica. Mi domandavo cosa la spingesse a venirti ad ascoltare.

In Croazia ancora non potevi cantare. Davi fastidio un po’ a tutti degli establishment statali in quegli anni. Eri scarso come serbo, in quanto di madre slovena e di presunte origini paterne ungheresi. Troppo legato a quella Vojvodina autonomista. Sostenevi il premier assassinato Zoran Đinđić e criticavi apertamente il regime di Slobodan Milošević. Un vero croato non sei mai stato, nonostante fosse impossibile separare te, Arsen Dedić e Oliver Dragojević le leggende della scena musicale croata, da qualche anno scomparsi anche loro. Amavi e difendevi troppo la Bosnia di tutti i suoi cittadini. Sei andato a cantare a Sarajevo troppo presto dopo l’assedio e questa mossa in tanti non te l’hanno mai perdonata. In primo luogo i “miei” e i “tuoi” di Banja Luka.

Non eri di nessuno di loro. Ma eri nostro fino in fondo.

E così quell’anniversario dei vent’anni di carriera, da Zagabria, dove era cancellato, fu spostato a Lubiana, facendo infuriare chi spingeva per l’isolamento della Croazia dal resto della regione balcanica sino ad arrivare ad un vero e proprio incidente diplomatico con la Slovenia: ero in uno di quei 22 pullman, partiti da Zagabria, fermati dalla polizia croata al confine croato-sloveno di Bregana. Ci hanno schedati uno ad uno. Il rischio di non arrivare a Lubiana quel primo dicembre del 1997 in tempo per l’inizio del concerto fu altissimo. La tensione era alta. Non ci permisero per diverse ore di scendere dai pullman mentre da fuori sentivamo quelli che dovevano essere degli insulti. Ci chiamavano jugonostalgici.

La stessa cosa sarebbe poi accaduta alle due di notte, nel rientro a Zagabria. Ma fu meno drammatico. Eravamo ormai purificati dal tuo concerto, disarmati dalla potenza della tua esibizione di 4 ore e mezza senza che nemmeno bevessi un bicchiere d’acqua. Quella notte sei diventato definitivamente il mio re. Il re del piccolo mondo di un profugo bosniaco di 22 anni con “l’indirizzo forzato” in una delle città della pianura croata. Ti ho visto da vicino. Tanto vicino che sono riuscito a lanciare una letterina, come da tradizione, sul palco. L’avrai mai letta? Non importa. Lì non c’era scritto niente altro di quello che tu non ci avessi già insegnato. Amore e pace prima di tutto.

Eri una specie di guardiano durante i miei anni di guerra, durante quelli da profugo scombussolato, durante i travagliati periodi della vita nella mia nuova patria italiana. Tutti i tuoi album hanno viaggiato con me ovunque.

C’eri sempre. Io ci sono soltanto adesso. Sarebbe stato più onesto se avessi scritto queste righe mentre cantavi ancora. L’indirizzo lo sapevo. Da sempre. Eri sempre tu a ricordarcelo nella tua famosissima “Neki novi klinci” (Alcuni fanciulli nuovi).

Ho tentato di avvicinarmi anche un’altra volta. Era l’agosto del 2019. Insieme alla famiglia feci una sorta di jugo-tour. Per la prima volta nella vita abbiamo visitato la tua magnifica città, Novi Sad. La regina della tua Vojvodina. A tutt’oggi culla del multiculturalismo. Ferita ma viva.

Siamo stati tentati, ma non abbiamo osato, di suonare alla tua porta, qualche minuto prima delle 22.00 di un martedì. Lo facevano in tanti, sperando che qualcuno si sarebbe affacciato, a cui lasciare per te un messaggio. Se aveste aperto a tutti in qualsiasi ora della notte… Figuriamoci. Forse però se tu avessi saputo da dove venivamo per vederti…?!

Non importa caro mio. Non ha molto senso ricordare qui le moltissime verità da te cantate. Vorrei però riprendere un verso della tua canzone intitolata “Panonski mornar” (Marinaio pannonico);

Il mio mare non c’è e non so cosa fare

Mio padre dice che il Danubio non è male

Il mio mare non c’è ma io vivo nella speranza

Che comunque da qualche parte ci incontreremo ancora

 

Proprio a me che capita ‘sta cosa

Questa è storia per le lacrime e per ridere

Qualche marinaio forse rimane senza nave

Ma senza mare, questa è una sfiga particolare…

 

Troverai laddove sei andato il tuo mare perduto. Sono sicuro. Aspettaci. Ci saremo in tanti imbarcati sulla tua nave. Prima o poi. Buon vento mio caro Balaš.

COMUNICATO STAMPA PROGETTO

COMUNICATO STAMPA PROGETTO

Dal Presidente dell’Associazione Progetto Prijedor, Dario Pedrotti, il seguente

 

COMUNICATO STAMPA

 

Nonostante le difficoltà imposte dalla pandemia in corso del Covid-19, l’Associazione Progetto Prijedor ha portato a termine in questi giorni il progetto “Supporto alle capacità dei Governi locali e contributo alla promozione economica dei settori delle energie rinnovabili, sostenibilità e gestione forestale, promozione delle piccole imprese in tre Municipi della Bosnia e Erzegovina”.

Si tratta di un progetto che fa parte integrante del “Programma di Cooperazione e Sviluppo Trentino-Balcani 2018-2020” finanziato direttamente dalla Giunta Provinciale di Trento e coordinato dall’Associazione Trentino con i Balcani che ne è capofila.

L’intervento ha voluto coinvolgere anche le Associazioni della Democrazia Locale dei Balcani, favorendo una loro collaborazione diretta anche nei termini del progetto in questione.

Obiettivo dell’intervento è stato la promozione in tre municipi della Bosnia Erzegovina dello scambio di esperienze e la diffusione di buone pratiche relativamente a: sviluppo sostenibile, sviluppo socioeconomico locale; opportunità professionali per i giovani; partecipazione e dialogo tra società civile e istituzioni locali; cittadinanza globale.

Quanto sopra è stato declinato in Obiettivi specifici quali:

– il miglioramento delle capacità delle istituzioni pubbliche locali, dei ministeri competenti e della protezione civile bosniaca nel progettare e gestire iniziative pubbliche in ambito ambientale;

– strumenti per il supporto e la promozione del modello di piccola imprenditoria;

– maggior coesione, convergenza e partecipazione tra la società civile e le amministrazioni pubbliche nel promuovere modelli di sviluppo sostenibili a livello locale.

Mentre l’obiettivo più specifico del progetto prevedeva di promuovere in tre municipi della Bosnia Erzegovina lo scambio di esperienze e la diffusione di buone pratiche relativamente a:

  • lo sviluppo socio-economico locale e le opzioni professionali per i giovani
  • la partecipazione ed il dialogo tra la società civile e le istituzioni locali
  • la cittadinanza globale

Le attività previste sul tema “ambiente” sono state orientate a sviluppare un contributo per l’identificazione partecipativa di piani territoriali locali relativi a:

  • controllo dell’ambiente, con riferimento alla gestione dei rifiuti;
  • mitigazione dell’impatto del cambio climatico e prevenzione e gestione di disastri naturali, con riferimento alle esondazioni fluviali ed alla prevenzione dei rischi ad esse correlati;
  • gestione forestale ed uso di energia solare, con riferimento specifico alla gestione delle risorse forestali naturali e le relazioni con l’erosione idrica ed il cambiamento climatico.

Altre attività inoltre hanno riguardato:

  • la formazione di giovani professionisti e dipendenti di amministrazioni pubbliche dei Municipi coinvolti sull’uso di buone pratiche partecipative per la diagnosi rapida del territorio
  • l’analisi delle necessità tecniche e buone pratiche per il supporto alle piccole e micro imprese e alle forme di imprese associate e cooperative, con particolare riguardo all’inclusione dei giovani;
  • eventi formativi rivolti a Ministeri, Pubbliche Amministrazioni locali ed organizzazioni private in particolare di giovani, sul tema della normazione, promozione e sostegno alle PMI ed alle imprese associate o cooperative
  • l’individuazione di strumenti finanziari per migliorare l’organizzazione commerciale di piccole imprese di giovani o organizzazioni cooperative
  • la realizzazione o ristrutturazione di piccole infrastrutture per la commercializzazione di prodotti agro-forestali o artigianali di associazioni o cooperative di primo e secondo livello
  • la diffusione di buone pratiche sull’impiego dell’e-government come mezzo di interscambio di esperienze, buone pratiche, partecipazione e cittadinanza attiva

Tutte le attività riguardo alle tematiche ambientali sono state realizzate partendo dall’analisi di casi puntuali di studio, identificati secondo le priorità definite con approccio partecipativo dalle Agenzie per la Democrazia Locale e dagli altri attori territoriali dei tre municipi coinvolti. Ogni ADL ha quindi selezionato dei casi ambientali rilevanti per il proprio municipio. Sulla base di queste pre-analisi sono stati identificati più specifici casi di studio per ciascuna ADL (ADL Zavidovici: esondazioni e gestione forestale; ADL Mostar: gestione dei rifiuti; ADL Prijedor: gestione forestale e rifiuti). Anche nell’analisi e nella gestione delle problematiche ambientali gli esperti italiani (universitari e liberi professionisti), una volta considerato il contesto complessivo e il caso di studio concreto, hanno contribuito all’individuazione ed alla dimostrazione di strumenti scientifici e tecnici per migliorare la pianificazione degli enti territoriali preposti alla gestione del territorio, sempre considerando come centrica la prospettiva degli stakeholders che vivono nel territorio stesso. I risultati in alcuni casi (gestione dei rifiuti) sono stati espressi tramite l’elaborazione di progettuali esecutivi da sviluppare in un secondo momento.

Altri temi riferibili all’obiettivo specifico del progetto, come la gestione partecipativa del territorio, l’e-government e il supporto alle micro-impese, sono state evidenziate come temi di interesse trasversale per tutte le ADL. Quindi sono stati trattati con approfondimenti informativi e formativi specifici e, ove opportuno, con la costruzione di piccole opere ed infrastrutture differenziate in base alle necessità rilevate in loco.

La diagnosi e la gestione partecipativa del territorio è un argomento sul quale l’Associazione Progetto Prijedor conta con esperienze pregresse e con corsi specifici di “training of trainers” organizzati a Prijedor applicando metodologie internazionalmente riconosciute (“Green Negociated Territorial Development” – FAO; 2016). Grazie a queste esperienze è stato possibile promuovere una formazione “peer to peer” organizzata dagli stessi esperti locali, formati presso l’ADL di Prijedor, e rivolta a nuovi futuri promotori territoriali selezionati ed ora presenti rispettivamente dalle ADL di Zavidovici e Mostar.

Si è dato spazio ad un lavoro specifico di analisi, scambio di esperienze, di informazione e di formazione sulle opportunità offerte dall’ “e-government” come mezzo per l’implementazione e l’uso di strumenti partecipativi per la gestione e la pianificazione del territorio. A proposito è stato fatto un lavoro di indagine con questionari cartacei ed informatizzati, per definire lo stato dell’arte dello strumento “e-government” presso i tre municipi. Successivamente è stata fatta una specifica formazione ed organizzato un seminario finale di intercambio e costruzione di prospettive di applicazioni future, anche secondo le direttive europee.

Durante l’analisi partecipativa delle problematiche economiche locali gli esperti italiani hanno contribuito all’individuazione e dimostrazione degli strumenti tecnici e finanziari per migliorare l’organizzazione e la “performance” di gruppi, associazioni e di piccole e micro imprese soprattutto a supporto dei giovani. I consulenti italiani, una volta analizzati i colli di bottiglia locali (analisi SWOT presso i tre Municipi), hanno fornito l’esperienza formativa per migliorare tutto l’iter che va dall’identificazione del contesto del “micro-business” fino all’analisi e consolidamenti dei gruppi e dall’elaborazione dell’idea progettuale e successivamente fino alla redazione e validazione di un “business plan”. A seguito della valutazione condivisa dei migliori “bussiness plan” elaborati presso ciascuna ADL da selezionati gruppi, associazioni o cooperative con presenza di giovani e donne, sono state progettate e realizzate piccole infrastrutture per la trasformazione e/o per la commercializzazione di prodotti agro-forestali e/o artigianali, tra cui:

  • Mostar (riorganizzazione della sede operativa del centro della Youth Business Hub dei giovani di Mostar ed acquisto di macchinari per la lavorazione e la confezione di prodotti artigianali)
  • Prijedor (acquisto di attrezzature e ristrutturazione di locali per un centro per la trasformazione di frutta e ortaggi presso la Scuola Agraria e Alimentare, in supporto alle micro imprese di agricoltori familiari)
  • Zavidovici (centro per la trasformazione e per la commercializzazione di frutta e ortaggi a favore di gruppi formali e informali di donne e giovani)

Il progetto si è sviluppato su due anni, nel primo è stato possibile svolgere le attività direttamente sul territorio di Mostar, Prijedor e Zavidovici attraverso il contributo delle tre Agenzie della Democrazia Locale che hanno lavorato e collaborato in sinergia per ottenere i risultati attesi.

Il secondo anno a causa della pandemia si è dovuto ricorrere ad attività di smart-working svolte attraverso assistenza tecnica da remoto, meeting tecnici, seminai formativi e webinars che, per certi versi hanno limitato la interrelazione diretta tra i cittadini e gli esperti sia in Trentino che in Bosnia Erzegovina, ma invece hanno permesso una maggiore partecipazione, con numeri di utenti variabili tra le 20-30 unità per ogni webinar finale organizzato tra la metà di novembre e il 4 dicembre 2020. Questo riscontro ci ha definitivamente soddisfatto circa la bontà dell’iniziativa.

Quindi il progetto si è concluso con 4 seminari online di analisi, raccordo e presentazione di esperienze in Trentino ed in Bosnia Erzegovina su:

  • Esperienze e pratiche ambientali per la gestione forestale, la gestione delle esondazioni e la relativa gestione dei rischi;
  • Pratiche e problemi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani;
  • Lo sviluppo delle micro imprese per la crescita socio-economica locale;
  • Esperienze e potenzialità dell’e-government in ambito europeo e per l’area dei Paesi Balcanici.

Particolarmente interessante è stata la potenzialità della rete che si è formata tra i relatori di questi seminari e che hanno visto tra gli altri il contributo della Provincia Autonoma di Trento, dell’Ambasciata Italiana di Sarajevo, dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, dell’Università di Trento e di Padova, dei Municipi e delle ADL di Mostar, Prijedor e Zavidovici. Inoltre sono intervenuti altri attori pubblici e privati di entrambi i territori come Dolomiti Energia, Cooperativa Gruppo 78, Open Content ed altri del territorio Bosniaco.

 

Dario Pedrotti

“SI IMPARA FACENDO… 2019”: RELAZIONE CONCLUSIVA

“SI IMPARA FACENDO… 2019”: RELAZIONE CONCLUSIVA

Dal Presidente APP, Dario Pedrotti, viene inviata la seguente relazione conclusiva del Progetto “Si impara facendo… 2019” (clicca QUI per l’originale)

PROGETTO “SI IMPARA FACENDO… 2019”

Il progetto realizzato dalla scrivente Associazione “Si impara facendo…anno 2019” è nato con lo scopo di aiutare la popolazione di Prijedor a raggiungere un grado di autosufficienza anche nella tutela e salvaguardia dell’ambiente attraverso il potenziamento dell’educazione ambientale e partendo dall’educazione alla raccolta differenziata dei rifiuti nelle scuole.

La maggior parte delle attività previste per raggiungere le finalità del progetto sono state realizzate: è stato formato a Prijedor un gruppo di giovani in grado di seguire il progetto nelle scuole sia con gli insegnanti che con gli studenti, è stato quindi possibile controllare il buon andamento della raccolta differenziata, e individuare la classe più attiva all’interno del progetto (Allegato n.). Per fare questo lavoro è stata indicata dalla Agenzia della Democrazia Locale la dipendente dell’Agenzia stessa, Dragana Susnica. La formazione è avvenuta sia all’incontro del Consiglio dei direttori degli Istituti della scuola dell’obbligo che individualmente con gli insegnanti coinvolti nel progetto.

I temi della formazione:

  • Costituzione Associazione Cooperativa Scolastica (ACS)
  • Educazione ambientale
  • Natura dei materiali
  • Riuso
  • Riciclo
  • Raccolta differenziata

Nel progetto hanno partecipato dieci scuole. Con il sostegno anche di Dolomiti energia, ogni scuola è stata dotata di bidoncini per la raccolta differenziata. E’ stato fatto un lavoro di indagine sulla situazione nei quartieri di Prijedor per quanto riguarda la raccolta differenziata. Sono stati attivati i percorsi formativi sulla gestione cooperativa delle associazioni cooperative scolastiche, sia con i docenti che con gli alunni. Le dieci scuole hanno costituito le loro cooperative scolastiche per la raccolta differenziata (conferendo i rifiuti raccolti – in particolare carta e plastica – a ditte del luogo, ricavandone anche piccoli introiti), nonché per il riciclo e il riuso dei prodotti di scarto per realizzare piccoli manufatti da porre in vendita durante le attività scolastiche.

A causa della pandemia da Covid-19, è stato impossibile realizzare alcune delle attività previste dal progetto, che quindi sono state sostituite con altre attività. Sono inoltre emersi altri problemi collegati alla pandemia Covid-19 e alla comunità scolastica di Prijedor, ovvero: dietro richiesta degli insegnanti di Prijedor e su delibera del Comune di Trento sono stati acquistati 55 termometri per le scuole di Prijedor.

Aiuti

 

L’autostrada per sotterrare gli Accordi di Dayton

L’autostrada per sotterrare gli Accordi di Dayton
Gli abitanti dei villaggi nei dintorni di Prijedor protestano contro il progetto di tratto autostradale che collegherebbe la città a Banja Luka. Secondo i protestanti, il progetto andrebbe a penalizzare solo la comunità bosgnacca. Il racconto di Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 21 settembre 2020 (clicca QUI per andare all’originale).

Immagine in homepage tratta dal sito prijedordanas.com.

Con una manifestazione tenuta lo scorso 3 settembre gli abitanti dei paesi limitrofi alla città di Prijedor, Bosnia occidentale – Kozarac, Kozaruša, Kamičani e Kevljani – hanno nuovamente inviato un pacifico e inequivocabile messaggio alle autorità locali e a quelle della Republika Srpska, una delle due Entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina: sono contrari al progetto della tratta autostradale che da Banja Luka (centro amministrativo della entità RS) dovrebbe collegare Prijedor e che dovrebbe attraversare proprio i suddetti comuni.

Dal sito BHRT
Dal sito BHRT

Le manifestazioni, come anche in passato, hanno avuto luogo a Kozarac, lungo la strada statale che attraversa il paese. Le richieste dei cittadini di questi quattro villaggi a maggioranza bosgnacca sembra non trovare però riscontro nelle autorità. In queste aree gli abitanti sono in stragrande maggioranza dei rientranti dall’esilio dopo le vicende della pulizia etnica e dei campi di concentramento nei quali la maggior parte della popolazione maschile non serba sopravvissuta alle prime azioni dell’esercito dei serbo bosniaci fu imprigionata.

Il progetto dell’autostrada andrebbe a colpire secondo i manifestanti alcune garanzie date ai ritornanti negli Annessi VI e VII degli Accordi di Dayton, che misero fine nel 1995 al conflitto in Bosnia Erzegovina.

Gli Annessi classificano i territori di questi quattro villaggi e parzialmente quello di Trnopolje come “zone di particolare interesse dello stato di Bosnia Erzegovina” in quanto la loro intera popolazione durante la guerra degli anni Novanta fu spazzata via dalla pulizia etnica e sottoposta ad uccisioni e torture nei tre vicini campi di concentramento: Keraterm, Trnopolje e Omarska.

Una volta rientrati, all’inizio degli anni 2000, i sopravvissuti di questi paesi hanno iniziato la ricostruzione dei loro paesi precedentemente rasi al suolo. Inizialmente con i propri mezzi e con quelli della comunità internazionale, senza particolari aiuti dell’entità bosniaca RS. Successivamente con qualche aiuto statale. In pratica in quella zona non esistono più case costruite prima del 1999/2000.

L’autostrada che taglia per collegare

Ora molte di quelle case ricostruite, si parla di un centinaio, e molti terreni agricoli, sono minacciati dalla tratta autostradale. Il 3 settembre i manifestanti hanno sottoscritto una nova lettera indirizzata al ministero delle Infrastrutture della Republika Srpska in cui si sottolinea l’anomalia di un progetto che crea così tanti danni a privati, agricoltori e allevatori di bestiame nonostante siano possibili molti percorsi alternativi. Non si può non notare che tutti i più colpiti appartengano alla comunità bosgnacca.

“Siamo insoddisfatti. Non abbiamo ricevuto risposte alle nostre richieste. Continueremo le nostre proteste. Questa nostra battaglia non finirà. Le famiglie non sono d’accordo che le loro proprietà vengano espropriate e le abitazioni demolite. Inoltre gli abitanti di ogni casa nella cosiddetta ‘cintura protettiva autostradale’ dovranno essere sfrattati e ce ne sono molti. Nessuno vivrà in una casa consapevole del rischio che in ogni istante qualcuno possa finire nella sua camera da letto con un camion o una macchina”, ha dichiarato al portale Prijedor24.com Sabahudin Garibović, tra gli organizzatori delle proteste.

“Nessuno qui vuole vendere la sua proprietà, nemmeno io. Lasciando da parte il numero elevato delle case da demolire, 97 addirittura, questa zona è conosciuta per la produzione del latte e anche quella sarà destinata a morire una volta che i nostri campi verranno attraversati dall’autostrada. La fauna, la flora e alcune riserve di caccia saranno distrutte e la sopravvivenza di tante famiglie verrà messa a rischio”, ha concluso Garibović.

Anche per quanto riguarda i terreni agricoli la soluzione proposta dal ministero delle Infrastrutture pare irragionevole. Molti poderi verrebbero tagliati in due impedendo l’accesso ai campi da coltivare ai proprietari stessi, costringendoli a percorrere distanze non indifferenti per accedervi.

Percorsi alternativi

Da quando il progetto della costruzione di questa tratta autostradale data in concessione alla compagnia cinese SDHS-CSI BH è stato reso pubblico non sono mancate proposte alternative. Tra queste l’ipotesi che l’intera tratta venisse spostata sul monte Kozara, con relative gallerie, oppure passasse da alcuni stagni ai suoi piedi, già di proprietà statale. Anche se all’inizio non è stata scartata, oggi sembra un’ipotesi lontana dall’essere presa in considerazione.

Oltre a queste due, vi sarebbero altre soluzioni che prevedono l’affiancamento dell’attuale strada statale, che attraversa anche villaggi serbo-bosniaci. Soluzione ritenuta equa dai bosgnacchi ma fuori discussione da parte serbo-bosniaca.

In una situazione di stallo il clima si sta riscaldando anche nei circoli della politica locale. Il segretario della sezione di Prijedor dell’SDA (Partito d’azione democratica, con a capo Bakir Izetbegović), Mesud Trnjanin, ha invitato tutti i vertici della politica nazionale e locale, non lasciando fuori nemmeno l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko, a contribuire attivamente per trovare una soluzione alternativa accettabile a tutti i cittadini.

Trnjanin sostiene che la “popolazione dei rimpatriati”, in questo caso bosgnacchi, deve godere la tutela garantita dagli Accordi di Dayton. “Eventuali espropri di terreni agricoli o di case non possono essere considerati diversamente da un attacco diretto agli accordi di pace di Dayton e al processo di restituzione delle proprietà”, ha affermato Trnjanin ribadendo la propria fiducia nelle istituzioni bosniache e nella comunità internazionale.

Inno all’insostenibilità

Il progetto di collegare Banja Luka e Prijedor attraverso una tratta autostradale è stato fortemente voluto dall’allora premier del Governo della RS e oggi membro della Presidenza tripartitica della Bosnia Erzegovina Milorad Dodik.

Nel 2019 un’indagine giornalistica effettuata da Svjetlana Šurlan, giornalista del portale Capital – e con la quale si aggiudicò il Premio “ACCOUNT”  consegnato ogni anno ai giornalisti che contribuiscono, tra l’altro, anche nello smascherare la corruzione nel pubblico e nel privato – ne aveva messo in luce i costi esorbitanti ed insostenibili.

Ad avviso della giornalista il progetto di collegamento autostradale Prijedor-Banja Luka non sarebbe altro che un’utopia con un alto costo fisso annuale a carico dei contribuenti.

Šurlan ha messo in allerta l’opinione pubblica sul fatto che il governo della RS, senza un’analisi valida e seria sui flussi di traffico, ha stipulato un contratto con il partner cinese garantendo l’incasso di 60 milioni di marchi all’anno (circa 30 milioni di euro) che, nel caso dovesse essere inferiore, verrebbe ripianato dal bilancio dell’Entità.

Šurlan sottolinea che l’ultimo conteggio dei flussi di traffico su quella tratta risalgono al 2015 e che nemmeno nelle più rosee aspettative possono garantire le cifre accordate. La giornalista nella sua analisi fa riferimento anche al caso delle autostrade della vicina Croazia che, pur molto più trafficate e non paragonabili grazie alla lunga stagione turistica estiva, non sono comunque autosufficienti. Per questo Svjetlana Šurlan definisce questo progetto un progetto politico piuttosto che un’azione intrapresa per il bene comune e per migliorare le infrastrutture.

Il partner cinese dovrebbe costruire 42 chilometri di autostrada per un valore totale di 297 milioni di euro. Questi verrebbero poi rimborsati attraverso una concessione per 30 anni con un incasso annuale garantito di trenta milioni di euro, per un totale, quindi, di 900 milioni di euro: un progetto quindi con gravi conseguenze sulla convivenza tra comunità, sull’ambiente e sulle tasche dei cittadini.

Assemblea APP del 16 luglio 2020

Assemblea APP del 16 luglio 2020

L’Assemblea ordinaria dell’Associazione Progetto Prijedor si è tenuta il 16 luglio 2020. I lavori si sono aperti con la nomina di Annalisa Bortolotti quale Presidente dell’Assemblea.

L’assessore del Comune di Levico, Paolo Andreatta ha portato i saluti e l’augurio di buon lavoro a nome della sua amministrazione.

Il Presidente dell’Associazione Progetto Prijedor, Dario Pedrotti, ha presentato la relazione sulle attività del 2019.

Sono stati realizzati 7 progetti:

1.PROGETTO GIUNTA PROVINCIALE: Supporto delle capacità dei Governi locali e contributo alla promozione economica dei settori delle energie rinnovabili, sostenibilità e gestione forestale, promozione delle piccole imprese in tre Municipi della BiH.

Finanziatore: Giunta Provincia Autonoma di Trento – Programma di cooperazione di comunità Trentino-Balcani 2018-2019

Luogo: Bosnia Erzegovina

Tempo: Biennale

Partner: Associazione Trentino con i Balcani (CAPOFILA); Municipi ed Agenzie per la Democrazia Locale (ADL) di Prijedor, Mostar e Zavidovici; Comune di Trento; Protezione Civile Trentina; Consorzio Lavoro Ambiente; Ministero dell’Ambiente della Repubblica Serba della BiH e della Federazione della BiH; Ministero dell’Agricoltura e Foreste della Repubblica Serba di BiH e della Federazione della BiH.

  1. PROGETTO Promozione dei partenariati territoriali, sostegno alla imprenditoria e valorizzazione delle risorse umane per lo sviluppo economico-sociale locale – Prijedor – Bosnia e Erzegovina 2018-2021:

Finanziatore: Provincia Autonoma di Trento – Programma di cooperazione internazionale 80% e 20 % risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor

Luogo: Bosnia Erzegovina

Tempo: Triennale

Partner: Scuola Agraria di Prijedor, Istituto Agrario di San Michele, Centro di Formazione dell’Istituto Agrario, Sindaco e amministrazione locale della Città di Prijedor, Agenzia per lo sviluppo locale PREDA, Municipalità di Prijedor, Ministero dell’agricoltura Repubblica Srpska, Associazione frutticoltori Prijedor, ADL, Comune di Trento

  1. PROGETTO Interscambi educativi e formativi 2018-2019

Finanziatore: Provincia Autonoma di Trento – Programma di cooperazione internazionale 70% e 30 % risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor

Luogo: Bosnia Erzegovina

Tempo: Annuale

Partner: Scuola Agraria di Prijedor, Istituto Agrario di San Michele, Centro di Formazione dell’Istituto Agrario, Sindaco e amministrazione locale della Città di Prijedor, Agenzia per lo sviluppo locale PREDA, Municipalità di Prijedor, Liceo Galilei Trento, Istituto Rosa Bianca Cavalese, CFP Pertini, Scuola economica Prijedor, Opera Prima Ala, Scuola musicale “Savo Balaban” Prijedor, Scuola meccanica Prijedor, Liceo “Sveti Sava” Prijedor, Associazione teatrale “Arteviva”.

  1. PROGETTO Ristrutturazione servizi igienici nelle scuole primarie “Desanka Maksimovic” e “Petar Kocic” a Prijedor

Finanziatore: Regione TAA 70% e 30% risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor

Luogo: Bosnia Erzegovina

Tempo: Annuale

  1. PROGETTO educazione ambientale con risvolti teorici e pratici “Si impara facendo 2019”

Finanziatore: Comune di Trento 67% e 33% risorse proprie dell’Associazione Progetto Prijedor

Luogo: Bosnia Erzegovina

Tempo: Annuale

  1. PROGETTO MURALES Concorso Internazionale Paola de Manincor – Realizzazione settimo murales a Prijedor

Finanziatore: Comune di Lavis e Comune di Prijedor

In particolare, il presidente Dario Pedrotti si è soffermato su due punti: il primo ha riguardato una presentazione dettagliata delle attività e delle missioni riguardanti i vari progetti e le attività previste per il 2020; nel secondo ha ricordato che solo un progetto è stato finanziato al 100%; l’Associazione Progetto Prijedor ha dovuto sostenere la realizzazione del resto dei progetti, escluso il progetto affidi, con fondi propri, dal 20% al 30%.

Il settimo progetto, Affidi a distanza è stato presentato dalla vicepresidente Cristina Bertotti la quale ha ripercorso la storia del progetto dal 1997, cioè dalla sua nascita. Da allora sono state assistite 985 famiglie con un importo complessivo, alla data del 31.12.2019, di € 1.638.672,65 (nei primi anni portato in contanti, non essendoci banche affidabili, e poi attraverso bonifici). Ad oggi ci sono 129 famiglie adottate da 119 affidatari, in quanto alcuni affidatari hanno più di un affido.

Il commercialista Mauro di Valerio ha presentato il bilancio del 2019, evidenziando che sono stati analizzati attentamente tutti i progetti, di cui ha inviato tutte le schede all’Associazione. Il bilancio del 2019 si chiude con un disavanzo di 16.894,03 euro e poiché l’Associazione non ha un patrimonio da cui attingere per sanare il disavanzo, si va in predita di 16.894,03. Nonostante questa predita, Mauro di Valerio ha evidenziato che rispetto all’anno scorso si è verificato un miglioramento, in quanto l’anno scorso il disavanzo è stato di 34.927,50. Il bilancio del 2019, come predisposto da Mauro di Valerio, è stato approvato dal Consiglio Direttivo dell’Associazione nella seduta del 25 maggio 2020 con l’impegno da parte dell’Associazione di mettere in atto strategie per diminuire le spese ed aumentare le entrate: in primis attivando la sottoscrizione per un fondo di solidarietà partendo dai membri del Consiglio Direttivo e ampliando poi la sottoscrizione ai sostenitori e affidatari, e diminuendo i costi delle strutture a Prijedor e a Trento.

L’Assemblea ha approvato il bilancio così come è stato approvato dal Consiglio Direttivo, con 35 voti favorevoli e due astenuti.

(Clicca sulle foto per ingrandire)

Quell’11 luglio a Srebrenica

Quell’11 luglio a Srebrenica
Edvard Cucek ricorda la tragedia di Srebrenica, nel 25° anniversario, in un articolo già apparso su atlanteguerre.it (clicca QUI per leggere l’originale).
Memoriale di Potočari, lista di nomi delle vittime (tratto da Wikimedia Commons, di Michael Büker)
Memoriale di Potočari, lista di nomi delle vittime (tratto da Wikimedia Commons, di Michael Büker, come la foto in home page)

L’11 luglio  il mondo ricorda i 25 anni dal genocidio di Srebrenica. Per alcuni genocidio, per altri uno sterminio di massa, per alcuni addirittura un fatto mai accaduto. In realtà, i due termini, di cui il primo è molto più grave di secondo, non cambiano minimamente le circostanze nelle quali accadde il tutto e nemmeno il numero delle vittime. L’episodio è avvenuto nella zona protetta dalle Nazioni Unite e dai loro caschi blu.  Come negli anni precedenti a Srebrenica si riverseranno le solite più o meno 20mila persone. L’umanità si recherà in quel luogo per ricordare un episodio di cui naturalmente dovrebbe vergognarsi. Quella cittadina, fondata sulla antica Argentium romana dai minatori sassoni arrivati in Bosnia nel quattordicesimo secolo al seguito degli inviti dei Re bosniaci Stjepan Kotromanić e Tvrtko è diventata nel tempo importante per l’intero regno e per le aree circostanti grazie ai commercianti ragusei (della Dubrovnik odierna). Proprio lì infatti fondarono la loro colonia, rimasta attiva fino alla caduta del regno bosniaco sotto gli Ottomani.

Quest’anno dovrebbero essere seppelliti altri 11 resti umani identificati portando il numero finale delle lapidi da 6482 del 2019 a 6493. Altri 37 resti sono in attesa dell’autorizzazione dei famigliari nel “Centro di identificazione Podrinje”. Ne restano ancora altri 99 da identificare nel “Centro commemorativo a Tuzla”. E poi…?
Il giorno 11 luglio 2020 durerà le sue 24 ore. I venditori delle magliette con su scritto il numero delle vittime, disgustosa idea commerciale da proibire, faranno gli affari. Si venderanno le tonnellate di ćevapi e altri cibi del tradizionale “street food bosniaco” per sfamare le migliaia di pellegrini e curiosi che verranno a Srebrenica per la prima volta. La vita tornerà quella che conoscono bene gli abitanti di una volta ricca e nel mondo conosciuta Srebrenica. Conosciuta molto prima che si sapesse di Zagabria con quel nome, prima che la Sarajevo di oggi fosse fondata. Si tornerà alla vita che interessa poco ai politici e tanti altri che si presentano lì solo in quel giorno per essere visti. Loro ed il “loro dolore”.

Non saranno loro, nonostante l’ennesima promessa, a fare qualcosa per cambiare la vita dei sopravvissuti, rientrati, vivi e propensi a crescere lì i loro figli, se solo potessero contare su un briciolo di sostegno. In quella giornata verranno pronunciate le banalità di sempre, confezionate a seconda dei tempi che corrono e dette “solennemente” da qualche nuovo funzionario politico, di solito bosgnacco (musulmano) e possibilmente unitarista, con le promesse di un futuro se non d’oro allora almeno d’argento per i suoi connazionali sofferenti.
Pochi penseranno di offrire qualche posto di lavoro, di costruire qualche asilo nido, scuole, di ripristinare le strade, gli acquedotti, la rete elettrica e rendere la vita ai “sopravvissuti” dignitosa e sopportabile.

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In quella stessa giornata, oltre il fiume Drina, come ogni anno, i negazionisti e le autorità della vicina Serbia, sempre solidali con i fratelli serbo bosniaci, suonando su tutte le campane inviteranno il mondo a riflettere e respingere una volta per sempre “tutta questa messa in scena” con i numeri gonfiati e falsi. Nonostante tutti gli scenari ormai standardizzati nel corso degli anni, la differenza tra i 36.666 abitanti di Srebrenica come da censimento del 1991 e quei 13.409 del censimento del 2013, ovvero 23 257 anime in meno, alle quali vanno aggiunti quelli perennemente disoccupati che nel frattempo hanno dovuto andar via oppure sono tornati solo “sulla carta”, non sarà ridotta di una cifra.

La giornata di vero dolore di coloro che vengono a piangere i propri cari e a cui la vita è stata stravolta per sempre, ma anche quella d’occasione per i vari opportunisti della politica attuale in cerca di visibilità, sarà il giorno successivo rimpiazzata dalla grigia quotidianità di coloro che oramai raramente pronunciano la parola speranza.
Tutti gli occhi che guardano Srebrenica anche in novembre quando è piena di fango o in gennaio, quando il manto della neve bosniaca copre completamente le lapidi e le disastrose strade cittadine in modo da rendere il tutto armonioso, resteranno da soli fino al prossimo 11 luglio. A riflettori e microfoni spenti. Andrà avanti così. Fino al giorno, se il trend dovesse continuare, in cui in un luglio fra vent’anni gli unici abitanti con residenza fissa, in quella cittadina con una storia ricca e sofferta, saranno solo le vittime sepolte nel memoriale di Potočari. Soltanto perché da lì, da sole, non potranno mai andare da nessun’altra parte.

 

Darko Cvijetić- Lo scrittore e il suo romanzo “sott’accusa”

Darko Cvijetić- Lo scrittore e il suo romanzo “sott’accusa”
Il libro di un poeta e scrittore di Prijedor, Darko Cvijetić, solleva polemiche sulle vicende tragiche che negli anni ’90 hanno colpito la città.  Dello scrittore, della sua ultima opera e delle ferite ancora aperte di Prijedor ci parla Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 23/04/2020 (clicca qui per vedere l’articolo).

Cvijetic e il suo libro Schindlerov lift, tratto dal sito dell'editore Prometej
Cvijetic e il suo libro Schindlerov lift, tratto dal sito prometej.ba

(immagine in homepage tratta dal sito hiperboreja.blogspot.com)

Darko Cvijetić è uno scrittore di prosa e poesia. Drammaturgo, attore e regista bosniaco nato il 11.01. 1968 a Rudnik –Ljubija nei pressi della città Prijedor (Bosnia ed Erzegovina). Anche se la sua carriera effettivamente ebbe inizio ancora prima degli eventi che segneranno la sua città di Prijedor in modo tragico e indelebile lui nel mondo della letteratura sarà “scoperto” soltanto nei primi anni duemila con la raccolta  dei brevi racconti di nome “Manifest Mlade Bosne” (Manifesto di Mlada Bosna) –Prometej – Novi Sad.

Che scrivere di qualsiasi tema riguardante quanto accaduto nei primi anni novanta sul territorio di Prijedor è un lavoro non appagante, spesso anche pericoloso, negli anni precedenti è stato più volte ribadito e diversi giornalisti né sanno qualcosa.

Tra gli altri ci sono anche questi temi che nelle poesie e racconti di questo autore molto insolito ci vengono riproposti. Quanto questa sua scelta gli rende la vita non invidiabile, essendo ancora residente nella sua città natale e non appartenendo nominalmente alla etnia di maggioranza (da quelle parti serbo bosniaca), non sarà una grande scoperta. A parte questa routine, del lavoro ad alto rischio, il suo ultimo romanzo di prosa intitolato “Schindelrov lift” (L’ascensore di Schindler) pare stia diventando un problema oltre agli scontri quotidiani dei nazionalismi locali sempre impegnati nel identificare le vittime e dimenticare i carnefici tra le proprie fila e viceversa quando si tratta degli atri.

Secondo quanto pubblicato recentemente sul sito di un’altro scrittore bosniaco, ormai di fama mondiale Miljenko Jergović, con il titolo significativo “Lift koji optužuje pisca” ( L’ascensore che denuncia lo scrittore)  risulta che il nome, scelto dallo stesso autore  Darko Cvijetić, per il suo ultimo libro  che ha già suscitato molto interesse e ha raccolto molte critiche positive, potrebbe portarlo in tribunale.

L’autore

Prima di arrivare al caso in fase di diventare vicenda giudiziaria vorrei dedicare qualche riga in più a favore di Darko Cvijetić.

Anche se a tanti può sembrare il fatto irrilevante io vorrei esprimere la mia piena ammirazione di fronte a quest’uomo che dedica così tanto alle vittime innocenti di Prijedor. Non si stanca, richiamando in certo senso, la popolazione a ripensarci, accettare e elaborare i fatti del conflitto in modo onesto e umano. Non accusa ma chiede la catarsi. Per poter vivere di nuovo e per togliere l’enorme peso di negazionismo dalle future generazioni. E’ vero. Ci sono anche gli altri, tra cui si “impone” il nome di ormai famoso Miljenko Jergović, ma Cvijetić è uno dei pochissimi che agisce dal suo indirizzo storico. Jergović non è mai tornato realmente in Bosnia e a Sarajevo. Nei loghi dai quali partono tutte le sue storie di successo mondiale. Invece, Darko Cvijetić vive ancora a Prijedor, nello stesso edifico, in stesso appartamento ed è così audace di scrivere le poesie, romanzi e le sceneggiature per gli spettacoli teatrali, tradotti spesso nelle lingue più parlate al mondo, e dedicati alle vittime della minoranza odierna di Prijedor.

Oggi il suo pubblico lo conosce soprattutto come autore di poesia. La sua poesia del dopoguerra è caratterizzata da alcuni argomenti di cui scrive, a volte sembra quasi ossessivamente. Lascia volutamente che tutte le vergogne umane che hanno avuto luogo nella sua città natale diventino la cifra della sua testimonianza artistica e umana. Anche se non perde l’occasione di affermare di non credere che la poesia abbia alcun potere di fronte agli orrori dei stermini di massa non smette di scrivere molto spesso dei temi in cui il lettore senza dubbio riconosce la recente tragedia. I campi di concentramento di Prijedor, uccisioni dei civili o fosse comuni che custodiscono i segreti dei crimini di cui non si vuole parlare. Insomma, Cvijetić non smette di toccare i punti dolenti, evitando di nominare le persone e i luoghi però lasciandoci disarmati di fronde alle evidenze difficili da non vedere e da non sentire. Riesce ad arrivare anche al teatro, come regista e drammaturgo e non si defila nemmeno quando c’è da mettere i piedi sul palco.

“Da solo contro tutti”; si direbbe.

Schindlerov lift

Mi sembra dovuto dire che con il romanzo “Schindlerov Lift” pubblicato da Buybook nel 2018, non ha minimamente tradito le proprie scelte di raccontarsi come essere umano e come artista. Nel libro di appena 90 pagine, con un secolo raccontato dentro però, Cvijetić ha raccolto le storie di un grattacielo rosso di Prijedor dove si è trasferito nel 1974 e ancora ci vive. Lì ha assistito a quasi tutto. Dai matrimoni e battesimi alle feste religiose e quelle statali. Amori, litigi e funerali per arrivare alla fine a vedere delle brutali uccisioni. I vicini che ammazzavano i primi vicini.  Una volta testimoni di nozze, compagni di squadre sportive, amici ai quali si giurava la fedeltà fino alla morte. Tante volte era proprio “la fedeltà fino alla morte”.

Come da lui detto in una delle occasioni; “le storie che ho scritto in 23 giorni le ho già 23 anni in gola”.

Con quale idea esatta e quanto Cvijetić ha “sfruttato” il potenziale simbolico dello straordinario capolavoro cinematografico di Steven Spielberg “Schindler’s List” (La lista di Schindler) dando al suo ascensore lo stesso nome metaforico, sarà il futuro a giudicare. Se qualcuno ha pensato che nel grattacielo di Cvijetić l’ascensore fosse stato realmente prodotto dalla azienda “Schindler” si sbaglia.  Quell’ascensore, ormai incriminato, è stato prodotto da un’azienda belgradase David Pajić – DAKA.  L’autore non nasconde che il titolo gli è stato suggerito da Selvedin Avdić, uno scrittore bosniaco di Zenica e che l’eventuale scelta di intitolare il libro “L’ascensore di David” oggi potrebbe dare fastidio a qualcuno. A prescindere dal titolo del romanzo e dalla scelta di “ribattezzare” l’ascensore come un prodotto della “Schindler”, tutta la tragedia raccontata nel libro gira in realtà intorno a lui e ad un episodio accaduto proprio nell’ascensore in cui perse la vita una bambina, Stojanka Kobas, in modo dei più orribili che possiamo immaginare. La bambina e la sua famiglia si era appena trasferita in uno dei appartamenti dell’edificio. La corrente elettrica in quella stagione mancava anche per diversi giorni e poi ritornava improvvisamente e per poco. La bambina si era abituata a giocare nell’ascensore di cui la porta spesso rimaneva aperta. Quel giorno la corrente tornò all’improvviso. Per un’ora o due. Qualcuno chiamò l’ascensore. Mentre la bambina spintasi fuori attraverso l’apertura della porta chiamava le amiche l’ascensore si avviò.

Era la primavera del 1992.  Pochi giorni prima che a Prijedor si scatenasse il putiferio infernale la tragica fine di una vita di soli sei anni innocente fino ai cieli restò dimenticata. Già il giorno dopo cancellata da altri eventi più grandi e più gravi.

Cvijetić attraverso questo edifico, scherzosamente chiamato da un postino molto prima della guerra “paesino verticale”, racconta prima di tutto la Jugoslavia e tutti i suoi paesini e borghi verticali (etnicamente puliti non esistevano) che da luoghi di convivenza e tolleranza sono diventati le scene dei crimini inspiegabili. Lo racconta anche in una delle interviste rilasciate a portal novosti.

Pur avendo raccolto le critiche molto positive, un premio letterario “Fric” (Fritz, il soprannome dello scrittore croato Miroslav Krleža), tante recensioni che lo mettono a fianco dei scrittori molto più grandi e coraggiosi nella lotta di raccontare il passato recente a tutti e onestamente, quanto raccontato nel romanzo “Schindlerov Lift”, tanti credevano fosse finzione. Soprattutto la parte che racconta la tragica morte della piccola Stojanka. Dovette stesso Cvijetić ribadirne la veridicità in un’intervista aggiungendo un dettaglio agghiacciante.

Cvijetić raccontò che dopo aver terminato di scrivere il romanzo si mise a cercare qualcuno dei familiari della piccola vittima. Trovò la sua madre in un villaggio a vivere nelle condizioni della estrema povertà.  Dopo essersi accertato della sua identità le fece una domanda la cui risposta fu straziante, distruttiva fino ad essere difficilmente spiegabile soltanto come una fatale coincidenza.  Chiese alla signora che cosa sapesse della tragedia a lui ancora sconosciuto. La madre gli rispose che a chiamare l’ascensore fu un certo signore del nono piano che l’autore crede di conoscere.

Concludo la storia con la notizia accennata all’inizio. Secondo quanto pubblicato sul sito dello scrittore Miljenko Jergović in data 25 .03 2020, basato sulla lettera inviatagli dallo stesso Darko Cvijetić qualche giorno prima, all’indirizzo dell’editore di libro in Germania e all’indirizzo dell’abitazione del autore è arrivata la lettera, anzi diversi documenti in lingua tedesca, di carattere abbastanza minaccioso. Nella lettera scritta dal team degli avvocati della azienda svizzera “Schindler” che produce gli ascensori, datata poco dopo dell’intervista di Cvijetić rilasciata alla testata giornalistica tedesca “Spiegel” si precisa che i loro prodotti, di nicchia nel settore, non sono delle ghigliottine e che non hanno niente a che fare con L’Olocausto o la guerra in Bosnia e Erzegovina.  Per il momento i rappresentanti legali della rinomata azienda svizzera dall’autore e dall’editore chiedono “spiegazioni valide” sul fatto di aver scelto il nome del loro prodotto come titolo del romanzo prima di un possibile epilogo giudiziario. Il suddetto romanzo in lingua tedesca non è ancora disponibile sul mercato.

Speriamo abbiano letto il romanzo prima di avviare questo intervento macchinoso”, concordano Cvijetić e Jergović nel loro commento.

Padre e figlio: Leonardo e Bruno Bancher, due figure della storia del Trentino e della Bosnia

Padre e figlio: Leonardo e Bruno Bancher, due figure della storia del Trentino e della Bosnia
Dal Trentino alla Bosnia: due destini tragici, accomunati dal desiderio di giustizia e dal coraggio di scendere in campo, a costo della vita (articolo di Edvard Cucek in collaborazione con Alice Sommavilla, gia apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa il 9 aprile 2020, clicca qui per leggere l’orginale, foto tratte dal sito OBCT)

È stato il semplice sfogliare un libro regalatomi dall’amico e coautore Tihomir Knežiček a suscitare il mio interesse per la famiglia Bancher. Per raccontare la storia completa di questa famiglia straordinaria ci vorrebbe molto più spazio e di certo la mano di qualcuno all’altezza del compito. A questo modesto tentativo di raccontare i Bancher dovrebbero seguirne molti altri. Il Trentino dovrebbe sapere quanti suoi «figli» si sono avventurati per il mondo, arricchendolo di idee nobili e gesta eroiche.

Secondo il mio modesto punto di vista sono Leonardo Bancher e il figlio Bruno a meritare di essere ricordati nella storia trentina e bosniaca ed è per questo che mi appresto, pur azzardandomi un po’, a proporre al pubblico italiano, specialmente quello trentino, quanto già descritto nella monografia «Stoljeće Italijana u Tuzli» (Secolo degli Italiani a Tuzla), cercando di offrire qualche dettaglio in più proveniente da altre fonti attendibili. Una storia che inizia a Siror nel Primiero e finisce su un ponte a Sevran nella Parigi occupata dai nazisti. Una storia che forse, almeno finché rimarrà viva nella nostra memoria, potrebbe e dovrebbe non finire mai.

I Bancher erano originari del Primiero. Nel 1911 il capo famiglia Luigi Domenico Bancher, muratore che per lavoro si era già spostato in diversi paesi del mondo, decise, assieme alla moglie Francesca Zanetell e ai tre figli, di insediarsi a Tuzla, in Bosnia-Erzegovina (all’epoca ancora parte dell’Impero Austroungarico) per cercare un po’ di fortuna. I figli Simone e Leonardo conobbero la Bosnia fin da giovanissimi. I ricordi del paese natio e delle montagne tirolesi che coltivava Leonardo, il più giovane, erano probabilmente molto pochi. Tuzla e la Bosnia divennero la loro nuova patria. Nonostante fossero circondati da molti connazionali, comprese tante famiglie tirolesi di artigiani arrivati alla fine del 19° e all’inizio del 20° secolo, i Bancher legarono molto di più con la popolazione locale e vissero il periodo tra le due guerre mondiali come se avessero le loro radici in quelle terre ormai da secoli.

Leonardo Bancher con la moglie e i figli, tra cui il maggiore, Bruno
Leonardo Bancher con la moglie e i figli, tra cui il maggiore, Bruno

austriaco, ritornò in Bosnia entusiasmato dalla Rivoluzione d’ottobre, impressionato dall’operato di Lenin e dalle sue teorie sul futuro della classe operaia.

Da quel momento Leonardo iniziò a schierarsi apertamente in favore degli operai, che nella Prima Jugoslavia della dinastia dei Karadjordjević vivevano in condizioni estremamente sfavorevoli.

Convinto sostenitore della parità dei diritti

Professionalmente seguì le orme del padre, diventando un muratore molto apprezzato, ma nel suo intimo era innamorato dei libri. Oltre ad essere un avido lettore era anche un abile musicista, una persona umile, sincera e sempre disposta ad aiutare chiunque ne avesse bisogno.

Già nel 1919 Leonardo Bancher insieme al fratello Simone ed altri tirolesi-trentini, tra cui anche la famiglia Mott, iniziò a militare all’interno del movimento in favore dei diritti della classe operaia. Nel 1920 sposò Ljubica Jerkić, la donna che rimase accanto a lui per tutta la vita, condividendo gli stessi ideali di vita sulla parità dei diritti come imprescindibile condizione per la costruzione di un mondo migliore.

Nello stesso anno entrò in vigore il «Decreto» del Governo del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (successivamente Regno di Jugoslavia), conosciuto come «Obznana». Il decreto proibiva definitivamente lo svolgimento delle attività del Partito Comunista, terzo partito nel parlamento, mettendo di fatto i suoi aderenti in una posizione di illegalità.

Oltre a questo gesto, che rappresentò di fatto il prodromo dell’avvento della dittatura, i diritti degli operai, seppur garantiti dalla nuova Costituzione, furono drasticamente ridotti. Per ribadire questa decisione, il governo di Belgrado nell’anno successivo introdusse la «Legge sulla protezione dello Stato», che negava totalmente anche il minimo spazio di azione ai rappresentanti dei lavoratori nell’esercizio dei propri diritti attraverso mezzi legali.

Punto di riferimento per gli operai di Tuzla

In quelle circostanze, le famiglie trentine Bancher e Mott, si impegnarono in modo inaspettato e senza risparmiarsi. Inizialmente sostenendo la causa e diventando via via i veri artefici e punti di riferimento per il movimento degli operai nella regione di Tuzla.

Pur non avendo radici slave, si fecero portavoce e divulgatori di quelle idee che aspiravano ad unire gli operai di tutta Europa.

Raccontare le imprese di Leonardo Bancher non è affatto semplice. Fortunatamente tanti ricordi e episodi sono stati salvati nell’importante volume dedicato alla lotta operaia intitolato «Tuzla u radnickom pokretu i revoluciji» (Tuzla: il movimento degli operai e la rivoluzione).

La regione di Tuzla, industrializzata ancora dai tempi dell’Impero Austroungarico, era considerata un centro all’avanguardia. Il numero degli operai impiegati nelle fabbriche superava di gran lunga quello degli agricoltori. Per affrontare le cause della lotta operaia Leonardo si unì al neofondato movimento «Comitato di Tuzla» rimanendovi fedele fino alla sua tragica morte.

Quando su iniziativa del grande rivoluzionario Mitar Trifunović Učo, venne fondata la prima Associazione sportiva degli operai, «Gorki» (poi denominata «FK Sloboda»), Leonardo entrò da subito nel consiglio direttivo per diffondere le idee socialiste e rivoluzionarie tra i giovani atleti, diventando anche un abile dattilografo. Divenne il più abile distributore del materiale informativo, proibito in quanto incitava la classe operaia ad organizzarsi, iscriversi ai sindacati e opporsi alle oppressioni del governo. Scriveva per una pubblicazione clandestina intitolata «Fabbrica e campo», diventando di fatto un vero insegnante rivoluzionario e trasformando la casa dei Bancher nel vero quartier generale del movimento.

Nel dicembre del 1932 Leonardo Bancher insieme ad alcuni compagni fu tradito da un collaboratore, e successivamente arrestato ed imprigionato. Dopo aver retto le accanite torture interrogatorie, venne condannato a cinque anni di carcere duro, terminato il quale tutta la famiglia avrebbe dovuto essere estradata in Italia senza diritto di ritorno.

Anche in carcere lotta per la causa operaia

Leonardo venne dapprima processato a Belgrado e successivamente trasferito nel carcere di Sremska Mitrovica, dove continuò a diffondere le proprie idee tra i prigionieri, creando una rete di comunicazione che permetteva lo scambio di messaggi in codice senza bisogno di parlare o vedersi. Non smettendo nemmeno in carcere di promuovere la causa operaia, decise di aderire al grande sciopero dei carcerati del 1933, atto che compromise in maniera grave la sua salute.

Morì all’ospedale di Belgrado l’11 maggio del 1936 e fu sepolto già il giorno successivo nel cimitero ospedaliero. Poco prima del decesso ricevette la visita di tutta la famiglia. L’ultima immagine che conservano i suoi figli è quella del loro padre molto provato e in attesa di una donazione di sangue, pratica le cui spese erano all’epoca interamente a carico della famiglia del malato. Nonostante la trasfusione Leonardo non riuscì a farcela e la notizia del suo decesso portò ad una serie di sollevazioni popolari sia a Belgrado che a Zagabria. Alla vedova Ljubica fu inviata una lettera di solidarietà, speciale ed unica in quanto scritta e firmata da 136 prigionieri politici, tutti coloro che avevano condiviso quotidianamente le sofferenze assieme a lui.

Due giorni dopo la scadenza dei cinque anni di prigionia ai quali era stato condannato l’ormai defunto Leonardo, a casa dei Bancher si presentarono gli agenti di polizia con un documento della prefettura che obbligava la vedova Ljubica e i tre figli minorenni a lasciare il Regno di Jugoslavia, e dirigersi verso quello che era stato indicato come il loro «paese di provenienza», ovvero l’Italia di Mussolini, un luogo dove non si prospettava certo una situazione di vita ideale.

Ai bambini fu vietata l’iscrizione scolastica per l’anno 1937/38, e nel dicembre del ’37 vennero formalmente rilasciati i lasciapassare per tutta la famiglia.

La famiglia Bancher era molto stimata e conosciuta, e questo fece si che i numerosi compagni si adoperassero per trovare una soluzione in modo da evitare che dovesse espatriare per stabilirsi nell’Italia fascista.

Grazie ai fondi del cosiddetto «Aiuto Rosso» riuscirono a procurarsi dei biglietti e gli inviti per la famosa esposizione internazionale «Arts et Techniques dans la Vie moderne», la cui inaugurazione era prevista a Parigi nel maggio del 1937. Un’impresa tanto folle quanto geniale.

Verso la Francia con meta Sevran

I Bancher arrivarono in Slovenia, dove furono ospitati da una serie di conoscenti e militanti comunisti sloveni, e proseguendo il loro viaggio, anziché dirigersi verso il confine italiano, vennero «dirottati» verso l’Austria da dove, attraverso la Svizzera, raggiunsero la Francia. La destinazione finale avrebbe dovuto essere la Russia, ma un insieme di circostanze sfortunate impedì loro di arrivarci. La famiglia si stabilì a Sevran, nella periferia parigina, in un appartamento situato sopra al bar gestito dalla famiglia Goudard. L’edificio esiste ancora, ed oggi è conosciuto come «Place Gaston Bussiere».

Ljubica si diede da fare fin da subito lavorando come donna delle pulizie, mentre Bruno, ormai sedicenne, si iscrisse alle scuole professionali per seguire la tradizione di famiglia e diventare muratore. Furono loro due, una volta esauriti gli aiuti dei fondi solidali, ad occuparsi dei piccoli Vesna e Rinaldo.

La convinta adesione all’appello di De Gaulle

Anche se la moglie di Leonardo, Ljubica, dopo averlo sposato si era impegnata nel movimento degli operai e nei sindacati socialisti svolgendo operazioni di alto rischio e si era iscritta già nel 1923 al Partito comunista, il vero erede del padre rivoluzionario è stato il figlio maggiore, Bruno Bancher. Bruno nacque a Tuzla il 6 ottobre 1923 e non a Lubiana (Slovenia) nel 1922, come sostengono alcune fonti, prevalentemente francesi, basandosi su quanto scritto dall’autore francese Harlay André nel libro «Souvenirs de Bruno Bancher».

Harlay è sfortunatamente uno dei pochi, se non l’unico autore, ad aver dedicato delle pagine alla storia di questo giovanissimo eroe, originario della Bosnia ma con sangue trentino. Spero vivamente che in futuro altre persone possano raccontare in maniera esatta la storia di Bruno, correggendo i dati anagrafici scorretti finora diffusi. Grazie a Tihomir Knezicek e ad altri amici di Tuzla, siamo riusciti ad ottenere una copia del certificato di nascita di Bruno, e una serie di altri documenti che rendono questa storia, già di per sé straordinaria, ancora più particolare per la comunità trentina in Bosnia Erzegovina, così come per i cittadini di Tuzla.

Il leggendario annuncio del 18 giugno 1940, trasmesso sulle onde di Radio Londra, attraverso il quale Charles de Gaulle chiese ai francesi di continuare la lotta clandestina contro il Terzo Reich, non lasciò Bruno indifferente. Già nel 1941, ancora minorenne, prese parte alla Resistenza francese. Fu coinvolto in varie operazioni, compresa la liberazione di Sevran, il quartiere dove viveva.

All’inizio del 1944 fu costretto a sospendere le attività in quanto costretto ad arruolarsi nell’organizzazione «TODT», il cosiddetto «esercito dei muratori», mandati a terminare la costruzione del Vallo Atlantico (una muraglia cementificata sulle coste dell’Atlantico affiancata da una serie di fortificazioni pensate dal Terzo Reich per impedire lo sbarco degli Alleati).

Bruno non resistette a lungo. Riuscì a fuggire, e dopo un periodo passato a nascondersi nel quartiere di Saint-Germanin-en-Laye, protetto da un conoscente partigiano, si unì al movimento dei FTP (Franc-Tireurs et Partisans), all’interno della cosiddetta «Legione Garibaldina», diventando in poco tempo il comandante del 143° plotone.

Per tutto il 1944 Bruno Bancher organizzò e condusse diverse azioni per liberare Sevran e tagliare i collegamenti ferroviari verso il resto della città. Il 27 agosto durante un attacco di artiglieria nazista Bruno fu gravemente ferito nel tentativo di fermare un soldato tedesco, un’azione che si rivelò fatale. I compagni riuscirono a soccorrere Bruno ma il tentativo di salvargli la vita non ebbe successo. Morì il giorno dopo a soli 21 anni.

Madre e fratello sulla tomba di Bruno
Madre e fratello sulla tomba di Bruno

Una vita dolorosa ma dignitosa

La sua tomba si trova ancora oggi nel cimitero di Sevran e il viale che porta sul ponte dove la sua breve ma intensa vita finì oggi porta il suo nome, Bruno Bancher Avenue. Non credo che i residenti conoscano il suo percorso di vita affascinante, doloroso ma incredibilmente dignitoso.

Vale la pena ricordare che fino agli anni Novanta, a Tuzla ci fu anche una via intitolata a suo padre.

Alla moglie e madre di questi due eroi alla fine della guerra fu consegnata la Medaglia della Legione d’onore, principalmente per i meriti di Bruno ma anche per onorare il suo impegno e quello del fratello minore Rinaldo, che combatté in Jugoslavia a fianco dei partigiani di Tito fino al termine della guerra.

Nel corso dei miei approfondimenti ho potuto constatare come i documenti in italiano a disposizione di chi voglia intraprendere una ricerca su questa storia siano drammaticamente scarsi. Uno dei pochi testi che ho avuto modo di approcciare, è stato quello di Chiara Gobber, che nella sua opera «Letteratura del migrante- Mondo ex e tempo del dopo: un progetto interculturale sui Balcani», tocca l’argomento menzionando Leonida Bancher, nipote di Leonardo Bancher, scrivendo una riflessione sulle memorie di Leonida durante gli anni ’80, riflessione che verrà inserita all’interno di un’enciclopedia jugoslava pubblicata nel 1987.