La parabola di un audace esperimento capitalista, avviato nella Jugoslavia socialista degli anni ’70, raccontata in un articolo di Edvard Cucek apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa il 18/07/2019.
Nella Jugoslavia socialista quanto di più opulento potesse esprimere la società capitalista è accaduto sull’isola di Krk nei primi anni ’70. L’artefice? Bob Guccione, fondatore ed editore della rivista per adulti Penthouse, che investì 45 milioni di dollari per un complesso che oggi è solo rovine
Alla fine degli anni sessanta il fondatore ed editore della rivista per adulti Penthouse (l’unica vera concorrenza dell’epoca a Playboy), il milionario Bob Guccione , scoprì Malinska sull’isola di Krk (Veglia), allora Jugoslavia. Poco dopo venne a conoscenza di Haludovo, con il suo complesso alberghiero ancora nascente. Inaugurato nel 1971, sulla superficie di quasi 100.000 m2, quest’ultimo era composto da due eccellenze del turismo jugoslavo: l’Hotel Tamaris e il Palace Hotel, che potevano ospitare senza difficoltà 1500 persone.
Pare che proprio durante un suo soggiorno a Malinska prese forma l’idea di avviare lì una nuova avventura. Un po’ per l’incoraggiamento del suo amico Čedo Komljenović – al pubblico jugoslavo conosciuto come direttore della famosa rivista jugoslava di Zagabria “Start” ed al resto del mondo (soprattutto in quello della fotografia erotica) conosciuto come Monty Shadow – e un po’ perché gli affari dei suoi casinò a Londra stavano registrando un notevole calo, si decise per un notevole investimento: Guccione mise sul piatto 45 milioni di dollari per inserire nel neonato complesso di lusso anche il “Penthouse Adriatic Casinò Club”, con 5 stelle a garanzia di un lusso vertiginoso.
Dalla matita del geniale architetto Boris Magaš – autore dello stadio di calcio Poljud a Spalato e di tanto altro – uscì una vera e propria opera d’arte insuperabile, sia esteticamente sia come contenitore di offerte turistiche inimmaginabili sino ad allora nella tradizione turistica isolana, nata più di mezzo secolo prima. Guccione amava chiamare la sua impresa “ottima ricetta per placare la guerra fredda”: un casinò – e tanto altro – per soddisfare qualsiasi esigenza dei ricchissimi occidentali sul suolo di un paese socialista. In realtà – oltre che per trarne il profitto – si trattò di un progetto che unì la sua voglia di notorietà e il desiderio di realizzare qualcosa che mai si era visto da quella sponda dell’Adriatico.
L’investitore ufficiale fu il colosso industriale “Brodokomerc” di Fiume, il quale formalmente come società statale era il gestore del complesso. Ma era Guccione che in realtà, con l’aiuto del consiglio degli operai (all’epoca inevitabile strumento della cosiddetta autogestione del mondo di lavoro nel sistema socialista) dettava le regole. Motivato dalla ottima collaborazione con la rappresentanza operaia – spesso scherzava che le trattative con loro andavano sempre a buon fine in quanto molto vicini alla sua mentalità siciliana – Guccione si prese l’impegno di investire altri 500.000 dollari in pubblicità sulla sua e altre riviste in Europa ma anche Oltreoceano. Così spesso su più pagine di Penthouse (ciascuna per un costo di 15.000 dollari) apparivano pubblicità del tipo “Resort di un lusso stravagante dall’altra parte della cortina di ferro”.
Impatto ambientale e culturale
Anche se negli anni settanta Malinska e l’intera isola di Krk avevano già una tradizione turistica che datava più di mezzo secolo, l’avvento di Guccione implicò una vera e propria rivoluzione. Una comunità ancora patriarcale, ufficialmente secolarizzata ma nella sua quotidianità molto cattolica, si trovò a dover gestire fenomeni e situazioni completamente sconosciute. Già l’apertura dell’aeroporto di Krk – come aeroporto ufficiale della vicina città costiera di Fiume – aveva cambiato la vita degli isolani e il turismo di massa diventò una novità con tutti i problemi che portava con sé. La presenza di bellezze femminili dell’intero globo invitate da Guccione e battezzate “coccolone” in un paesino fondato da pescatori ne scombussolò gli abitanti.
All’ingresso nel villaggio spesso apparivano pannelli pubblicitari, pari a quelli dell’Europa occidentale, che riportavano donne completamente nude fotografate sulle spiagge locali mentre si tuffavano nel mare cristallino lasciando sulla sabbia costumi da bagno di minime dimensioni. Troppo “osé” per quell’epoca, pur avendo il turismo reso la vita dell’intera comunità molto più agiata. A differenza dai resort di lusso di oggi l’intero complesso di Haludovo, su tutta la superficie pari a 15 stadi da calcio, è inoltre sempre stato senza alcun recinto ed in ogni sua parte accessibile alla gente del posto o ai turisti che soggiornavano altrove. Il lusso – e la rivoluzione culturale – pareva alla portata di tutti.
L’inaugurazione e i primi ospiti famosi
L’inaugurazione nel 1972 aprì una serie di sontuose feste memorabili. Non mancarono i rappresentanti del governo jugoslavo e altri vertici del mondo politico. Ancora oggi non si dimenticano i tempi in cui “scorrevano fiumi di champagne”. Le feste “all’americana” continuarono almeno per un anno, tra hotel, casinò e le “offerte penthouse”. I clienti in una grande hall venivano accolti da ragazze in abiti da cameriere e fin da subito si percepiva lo spirito voluto da Guccione. All’inizio lavoravano 50 ragazze americane, poi raggiunte da altre 20 europee. Ci vollero dei mesi per aver nello staff anche le prime ragazze del posto.
Divenne frequente poter vedere esibirsi per l’intera stagione musicisti britannici ed americani sui palchi degli alberghi. Ed a capo della modernissima cucina venne subito messo uno dei migliori cuochi della ex Jugoslavia, se non il migliore, lo sloveno Ludvig Križanec.
A ricordarsi di tutti i personaggi famosi che soggiornarono ad Haludovo è Zdenko Cerović, arrivato a lavorarvi negli anni ’70 da studente alla reception sino a divenirne direttore, purtroppo l’ultimo. “Qui soggiornò anche Saddam Hussein con uno dei figli in una delle suite più lussuose dell’hotel e mi ricordo quando le cameriere dopo la loro partenza e dopo che ci avevano lasciato una mancia di 1000 dollari, trovarono una pistola tra le lenzuola. Era una situazione delicata e chiamare la polizia non era pensabile. Nessuno voleva scandali diplomatici. Fecero una telefonata dalla direzione all’aeroporto invitando qualcuno della scorta a tornare per verificare se ‘l’orologio’ che il figlio di Saddam aveva dimenticato era effettivamente il suo”, ricorda Cerović in una delle tante interviste rilasciate ai giornali tra le quali una anche a “Novi List” di Fiume.
Tra gli ospiti vi furono poi Olof Palme – in quegli anni presidente del Partito Socialdemocratico svedese oltre che primo ministro, George Orson Welles – regista, attore, produttore cinematografico statunitense, oltre a tutti gli industriali che all’epoca contavano. E molti ospiti importanti non vennero mai alla luce, esigendo l’anonimato. Già nel 1972, inoltre, diventò operativo il volo diretto tra New York e l’isola di Krk.
Tempi di gloria e rapido tracollo
È stato più lungo il tempo di progettazione e costruzione del complesso che quello del suo splendore. A poco più di un anno dalla clamorosa inaugurazione del “Penthouse Adriatic Casinò Club” cominciò il suo lento ma inesorabile declino. Purtroppo la guerra fredda non aiutò questo business di lusso e spensieratezza e nemmeno Bob Guccione riuscì a placarla. Dopo poco più di un anno di festini e celebrazioni da record il casinò chiuse i battenti. Causa i costi esorbitanti di mantenimento e le leggi sull’azzardo sempre più restrittive nel 1973 l’“Haludovo” fallì. Guccione, dal canto suo, morì negli Usa nel 2010 in difficoltà finanziarie.
Il complesso alberghiero rimase aperto ancora una ventina d’anni e nonostante dalla fine degli anni Settanta e nel decennio successivo fosse diventato la meta preferita della cosiddetta “crvena buržoazija“ (termine utilizzato dagli studenti in Jugoslavia, durante le proteste del 1968, ndr), ovvero la classe diventata benestante grazie alla sua posizione nella gerarchia politica socialista e comunista, non riuscì mai a risollevarsi economicamente. Dopo un periodo di autogestione e diversi passaggi di proprietà negli anni Ottanta, sempre riducendo di più le offerte turistiche, arrivò al limite della chiusura. Poi divenne luogo di accoglienza dell’ondata di profughi provocata dalle guerre jugoslave all’inizio degli anni Novanta e il complesso chiuse definitivamente i battenti.
Tradimento e ultimi giorni del gioiello di Quarnero
È sempre Zdenko Cerović a ricordare il suo primo incontro con un rappresentante di rilievo dell’appena proclamata Repubblica di Croazia nel 1991: “Con un ritardo di due ore rispetto all’appuntamento si presentò all’ingresso del Palace Hotel Janko Vranyczany Dobrinović, nuovo ministro del Turismo. Dopo un tiepido saluto la prima cosa che disse fu ‘Dobbiamo demolire tutto, questo è un obbrobrio comunista’”.
Invece della demolizione arrivò la privatizzazione. L’intero complesso fu venduto nel 2000 al commerciante dei diamanti armeno Are Abramyan e alla sua “Isleta Trading Limited”, con sede a Cipro. Quello fu l’ultimo colpo che porterà alla chiusura, nel 2004, anche di quel poco che era ancora in funzione. Quello stesso anno, paradossalmente, nonostante il numero ingente di prenotazioni, mai registrato dall’inizio della guerra e dalla temporanea chiusura per ospitare i profughi, arrivò l’ordine della proprietà di cancellarle tutte le prenotazioni e chiudere i battenti, ponendo fine a questa straordinaria storia.
L’obiettivo era quello di demolire tutto per partire da zero con la concessione per edificare un nuovo resort, concessione ad oggi mai arrivata. L’ennesima battuta di arresto è avvenuta a novembre 2018 , quando Are Abramyan ha presentato ai cittadini e alla municipalità di Malinska il progetto di risanamento del complesso. Il magnate armeno ha ricevuto un netto rifiuto, perché nel progetto richiedeva che una parte del lungomare gli venisse concesso per uso esclusivo degli ospiti del resort.
“Un tradimento preannunciato – sottolinea Zdenko Cerović in numerose interviste – del resto per questioni ideologiche il nuovo governo dai primi anni Novanta voleva già distruggere tutto”. Oggi Haludovo è in rovina, in attesa che prevalga il buon senso o la demolizione definitiva.