Gli abitanti dei villaggi nei dintorni di Prijedor protestano contro il progetto di tratto autostradale che collegherebbe la città a Banja Luka. Secondo i protestanti, il progetto andrebbe a penalizzare solo la comunità bosgnacca. Il racconto di Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 21 settembre 2020 (clicca QUI per andare all’originale).
Immagine in homepage tratta dal sito prijedordanas.com.
Con una manifestazione tenuta lo scorso 3 settembre gli abitanti dei paesi limitrofi alla città di Prijedor, Bosnia occidentale – Kozarac, Kozaruša, Kamičani e Kevljani – hanno nuovamente inviato un pacifico e inequivocabile messaggio alle autorità locali e a quelle della Republika Srpska, una delle due Entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina: sono contrari al progetto della tratta autostradale che da Banja Luka (centro amministrativo della entità RS) dovrebbe collegare Prijedor e che dovrebbe attraversare proprio i suddetti comuni.
Le manifestazioni, come anche in passato, hanno avuto luogo a Kozarac, lungo la strada statale che attraversa il paese. Le richieste dei cittadini di questi quattro villaggi a maggioranza bosgnacca sembra non trovare però riscontro nelle autorità. In queste aree gli abitanti sono in stragrande maggioranza dei rientranti dall’esilio dopo le vicende della pulizia etnica e dei campi di concentramento nei quali la maggior parte della popolazione maschile non serba sopravvissuta alle prime azioni dell’esercito dei serbo bosniaci fu imprigionata.
Il progetto dell’autostrada andrebbe a colpire secondo i manifestanti alcune garanzie date ai ritornanti negli Annessi VI e VII degli Accordi di Dayton, che misero fine nel 1995 al conflitto in Bosnia Erzegovina.
Gli Annessi classificano i territori di questi quattro villaggi e parzialmente quello di Trnopolje come “zone di particolare interesse dello stato di Bosnia Erzegovina” in quanto la loro intera popolazione durante la guerra degli anni Novanta fu spazzata via dalla pulizia etnica e sottoposta ad uccisioni e torture nei tre vicini campi di concentramento: Keraterm, Trnopolje e Omarska.
Una volta rientrati, all’inizio degli anni 2000, i sopravvissuti di questi paesi hanno iniziato la ricostruzione dei loro paesi precedentemente rasi al suolo. Inizialmente con i propri mezzi e con quelli della comunità internazionale, senza particolari aiuti dell’entità bosniaca RS. Successivamente con qualche aiuto statale. In pratica in quella zona non esistono più case costruite prima del 1999/2000.
L’autostrada che taglia per collegare
Ora molte di quelle case ricostruite, si parla di un centinaio, e molti terreni agricoli, sono minacciati dalla tratta autostradale. Il 3 settembre i manifestanti hanno sottoscritto una nova lettera indirizzata al ministero delle Infrastrutture della Republika Srpska in cui si sottolinea l’anomalia di un progetto che crea così tanti danni a privati, agricoltori e allevatori di bestiame nonostante siano possibili molti percorsi alternativi. Non si può non notare che tutti i più colpiti appartengano alla comunità bosgnacca.
“Siamo insoddisfatti. Non abbiamo ricevuto risposte alle nostre richieste. Continueremo le nostre proteste. Questa nostra battaglia non finirà. Le famiglie non sono d’accordo che le loro proprietà vengano espropriate e le abitazioni demolite. Inoltre gli abitanti di ogni casa nella cosiddetta ‘cintura protettiva autostradale’ dovranno essere sfrattati e ce ne sono molti. Nessuno vivrà in una casa consapevole del rischio che in ogni istante qualcuno possa finire nella sua camera da letto con un camion o una macchina”, ha dichiarato al portale Prijedor24.com Sabahudin Garibović, tra gli organizzatori delle proteste.
“Nessuno qui vuole vendere la sua proprietà, nemmeno io. Lasciando da parte il numero elevato delle case da demolire, 97 addirittura, questa zona è conosciuta per la produzione del latte e anche quella sarà destinata a morire una volta che i nostri campi verranno attraversati dall’autostrada. La fauna, la flora e alcune riserve di caccia saranno distrutte e la sopravvivenza di tante famiglie verrà messa a rischio”, ha concluso Garibović.
Anche per quanto riguarda i terreni agricoli la soluzione proposta dal ministero delle Infrastrutture pare irragionevole. Molti poderi verrebbero tagliati in due impedendo l’accesso ai campi da coltivare ai proprietari stessi, costringendoli a percorrere distanze non indifferenti per accedervi.
Percorsi alternativi
Da quando il progetto della costruzione di questa tratta autostradale data in concessione alla compagnia cinese SDHS-CSI BH è stato reso pubblico non sono mancate proposte alternative. Tra queste l’ipotesi che l’intera tratta venisse spostata sul monte Kozara, con relative gallerie, oppure passasse da alcuni stagni ai suoi piedi, già di proprietà statale. Anche se all’inizio non è stata scartata, oggi sembra un’ipotesi lontana dall’essere presa in considerazione.
Oltre a queste due, vi sarebbero altre soluzioni che prevedono l’affiancamento dell’attuale strada statale, che attraversa anche villaggi serbo-bosniaci. Soluzione ritenuta equa dai bosgnacchi ma fuori discussione da parte serbo-bosniaca.
In una situazione di stallo il clima si sta riscaldando anche nei circoli della politica locale. Il segretario della sezione di Prijedor dell’SDA (Partito d’azione democratica, con a capo Bakir Izetbegović), Mesud Trnjanin, ha invitato tutti i vertici della politica nazionale e locale, non lasciando fuori nemmeno l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko, a contribuire attivamente per trovare una soluzione alternativa accettabile a tutti i cittadini.
Trnjanin sostiene che la “popolazione dei rimpatriati”, in questo caso bosgnacchi, deve godere la tutela garantita dagli Accordi di Dayton. “Eventuali espropri di terreni agricoli o di case non possono essere considerati diversamente da un attacco diretto agli accordi di pace di Dayton e al processo di restituzione delle proprietà”, ha affermato Trnjanin ribadendo la propria fiducia nelle istituzioni bosniache e nella comunità internazionale.
Inno all’insostenibilità
Il progetto di collegare Banja Luka e Prijedor attraverso una tratta autostradale è stato fortemente voluto dall’allora premier del Governo della RS e oggi membro della Presidenza tripartitica della Bosnia Erzegovina Milorad Dodik.
Nel 2019 un’indagine giornalistica effettuata da Svjetlana Šurlan, giornalista del portale Capital – e con la quale si aggiudicò il Premio “ACCOUNT” consegnato ogni anno ai giornalisti che contribuiscono, tra l’altro, anche nello smascherare la corruzione nel pubblico e nel privato – ne aveva messo in luce i costi esorbitanti ed insostenibili.
Ad avviso della giornalista il progetto di collegamento autostradale Prijedor-Banja Luka non sarebbe altro che un’utopia con un alto costo fisso annuale a carico dei contribuenti.
Šurlan ha messo in allerta l’opinione pubblica sul fatto che il governo della RS, senza un’analisi valida e seria sui flussi di traffico, ha stipulato un contratto con il partner cinese garantendo l’incasso di 60 milioni di marchi all’anno (circa 30 milioni di euro) che, nel caso dovesse essere inferiore, verrebbe ripianato dal bilancio dell’Entità.
Šurlan sottolinea che l’ultimo conteggio dei flussi di traffico su quella tratta risalgono al 2015 e che nemmeno nelle più rosee aspettative possono garantire le cifre accordate. La giornalista nella sua analisi fa riferimento anche al caso delle autostrade della vicina Croazia che, pur molto più trafficate e non paragonabili grazie alla lunga stagione turistica estiva, non sono comunque autosufficienti. Per questo Svjetlana Šurlan definisce questo progetto un progetto politico piuttosto che un’azione intrapresa per il bene comune e per migliorare le infrastrutture.
Il partner cinese dovrebbe costruire 42 chilometri di autostrada per un valore totale di 297 milioni di euro. Questi verrebbero poi rimborsati attraverso una concessione per 30 anni con un incasso annuale garantito di trenta milioni di euro, per un totale, quindi, di 900 milioni di euro: un progetto quindi con gravi conseguenze sulla convivenza tra comunità, sull’ambiente e sulle tasche dei cittadini.